Alla
fine, come fai a non voler bene a Jack White? Lo so, quando ha sciolto i
White Stripes, ci ha fatto un gran male, lasciandoci orfani di una band
che aveva riempito con dischi straordinari i nostri ascolti per circa
un decennio. Però, poi, si è fatto perdonare e non ci ha mai lasciati
soli. In sei anni, dal 2012 al 2018, ha pubblicato tre album solisti, e
nel frattempo si è dato da fare, oltre che come produttore discografico
(sua la Third Man Records sotto la cui egida esce questo Help Us Stranger),
anche con due creature parallele, i Dead Weather e, appunto, i The
Raconteurs, giunti con questo nuovo album alla terza prova in studio.
Se
è vero che White ha spesso ibridato la propria musica, proponendo una
formula alternative di blues e pescando a piene mani anche da garage,
rock, pop e country, spingendosi, talvolta, fino ai confini di un
ecclettismo fantasioso e imprevedibile (si pensi al recente Boarding House Reach), con Help Us Stranger
il chitarrista di Detroit torna a un suono più diretto, per certi versi
anche basilare, che non ammette altre definizioni se non quella di
rock.
Un
rock classico, anzi classicissimo, che guarda agli anni ’60 e ’70, che
si esprime, talvolta, attraverso una cangiante psichedelia, e che
dispensa a piene mani quei riff di chitarra che sono l’essenza stessa
del genere. Eppure, questo nuovo disco non si limita a riesumare
sonorità consunte e datate: non c’è, infatti, un solo attimo in scaletta
in cui trionfi la nostalgia o la musica debordi nell’anacronismo.
White, su questo non c’è dubbio, è un manipolatore capace di
rivitalizzare qualunque cosa tocchi (il blues garagista dei White
Stripes, piaccia o meno ai puristi, è riuscito ad appassionare al genere
tantissimi giovani), e basta ascoltare anche poche canzoni di questa
nuova fatica dei The Raconteurs, per rendersi conto di quanto nelle sue
mani (e in quelle di Brendan Benson, altro cervello pensante del gruppo)
l’anticaglia rock delle discografie dei nostri padri torni a rilucere
di nuova brillantezza.
Help Us Stranger
è un disco vitale, esuberante perfino, e, cosa che non guasta,
appassionato. Insomma, si sente che in studio, questi quattro ragazzi
non si stavano limitando a incidere un disco, ma si stavano proprio
divertendo. E poi, ci sono le canzoni, che nonostante siano figlie di
un’evidente immediatezza e guardino al sodo, possiedono comunque
un’estetica curata, glamour e giovanilistica.
L’opener Bored And Razed
introduce alla festa in un clima fortemente seventies, ed è tutto un
mulinare di braccia sulla chitarra in stile Pete Townshend prima di
partire a cento all’ora cavalcando un riff acidissimo. La title track
è rock psichedelico nella miglior tradizione sixties, e sfoggia uno
splendido suono di chitarra e una linea ritmica che pulsa su goduriose
percussioni. Un inizio solare, pimpante e aggressivo, che si adagia sui
tre minuti e mezzo di Only Child, morbida ballata dagli psichedelici echi beatlesiani, e ripartire poi con Don’t Bother Me e Shine The Light On Me, due gioiellini che sembrano presi dal repertorio dei primi Queen.
L’arrembante blues di Hey Gyp (Dig The Slowness), clonata dal repertorio di Donovan, viene irrobustita da una potentissima linea di basso, mentre Sunday Driver
si sviluppa su un riff dal tiro pazzesco, si bagna le mani nella
psichedelia e riparte potentissima facendo vibrare le casse dello
stereo.
Live A Lie, poi, è una tirata sferragliante di urgenza punk e What’s Yours Is Mine aggredisce alla gola con un filotto di riff gagliardi, in un saliscendi di rallenti e accelerazioni da cardiopalma. Chiude Thoughs And Prayers,
ballata marchiata dal sacro fuoco dagli anni ’70, attraversata da echi
psichedelici e dallo splendido suono di un violino che evoca scenari
celtici.
Un
disco, quindi, perfettamente riuscito, che riporta il genere ai livelli
di espressività artistica che merita. Per cui, se siete stufi di
sentirvi dire che il rock è morto e la chitarra elettrica pure, Help Us Stranger è il disco che fa per voi.
Bel colpo, Mr. White!
VOTO: 8
Blackswan, venerdì 05/06/2019
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