La
Bishop, però, nonostante l’ambito riconoscimento, a causa di gravi
problemi di depressione e di continui attacchi di panico, che le
pregiudicavano la possibilità di suonare in pubblico, dopo aver
pubblicato Free (full lenght risalente al 2012), aveva lasciato
Nashville, era tornata in Texas e aveva mollato lo star system. Salvo,
ripensarci, qualche anno dopo, convinta dal genio onnivoro del
produttore Dave Cobb che, ritrovatosi per le mani alcuni demos della
songwriter di Houston, non solo riuscì a farla tornare in sella, ma la
convinse anche a dare una connotazione maggiormente soul alle sue
canzoni.
Il
risultato di quella collaborazione fu lo splendido Ain't Who I Was
(2016), sesto album in carriera, definito dalla stessa Bishop una sorta
di rinascita, artistica ma non solo. Cobb fece davvero un mezzo
miracolo, restituendo agli ascoltatori songwriter che, nonostante le
difficoltà passate, vive oggi una seconda giovinezza ed è, forse, pronta
per il grande salto. In quel disco, come accennato prima, Cobb ebbe
l’intuizione di spingere la Bishop verso territori decisamente più soul,
delineando un suono caldo, avvolgente e dal retrogusto leggermente
vintage. Un disco intenso ed emozionante che, pur ricevendo sperticati
elogi da parte della critica specializzata, non ottenne il successo
commerciale che meritava.
La
Bishop, però non si è data per sconfitta e ha ripreso la sua strada,
affidando per il nuovo The Walk la consolle a Steve Jordan, batterista
che in carriera ha suonato con decine di mostri sacri e che ha alle
spalle una solida carriera di produttore (Neil Young, Sheryl Crow, John
Mayer). Jordan ha proseguito il lavoro di Cobb portandolo alle estreme
conseguenze, dando ancora di più un taglio southern soul alle sette
canzoni in scaletta e incorniciando il graffio morbido della voce della
Bishop in una strumentazione sobria e senza fronzoli ma decisamente
incisiva.
Solo
sette brani, tre però sopra i sette minuti e nessuno inferiore ai
quattro, che evocheranno in molti paragoni con Bonnie Bramlett, Susan
Tedeschi e, perché no, Bobbie Gentry, ma che in definitiva appartengono
esclusivamente al marchio di fabbrica della Bishop. Che ci regala
autentici gioielli, come l’iniziale Love Revolution, con la voce della
texana che cresce d’intensità passando da sussurro a ringhio, e il brano
che si gonfia in un crescendo trainato dall’intenso assolo di chitarra
di Ryan Tharp. Una canzone di impressionante potenza, che apre un disco,
forse non tutto allo stesso livello (Keep On Moving e I Don’t Like To
Be Alone sono abbastanza prevedibili), ma decisamente intrigante e
centrato.
Le
atmosfere paludose della title track, il groove funky di Every
Happiness Under The Sun e gli accenti gospel delle conclusive Women At
Well e Song Don’t Fall Me Now sono momenti davvero ispirati, che
palesano il grande talento della Bishop sia in fase di scrittura che di
interpretazione. La collaborazione con Jordan, poi, è decisamente
riuscita: i due hanno creato un flusso di musica coeso e omogeneo, che
riesce a mantenere alto il pathos dall’inizio alla fine del disco, senza
alcun cedimento.
Non
so dire se questo nuovo lavoro aprirà alla cantante texana le porte
dell’auspicato successo commerciale, perché il minutaggio dei brani è
troppo lungo per avere un appeal radiofonico e perché il songwriting è
troppo maturo e adulto per riuscire a sfondare fra un pubblico giovane.
In quanto a qualità, però, non dubito che la critica finirà per essere
nuovamente concorde nel definire The Walk un gran bel disco.
VOTO: 7,5
Blackswan, mercoledì 23/10/2019
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