A
volte, per una grande canzone, bastano una bella voce, una chitarra e
poco altro. Lo sa bene Billy Bragg (Essex, 1957), uno che ha fatto
dell’essenzialità un credo artistico, riuscendo, però, nel tempo, a
scrivere un repertorio di protest songs scarne e con mezzi rudimentali,
eppure pervase da appassionata militanza.
Schierato a fianco delle ali estreme della sinistra britannica, fondatore insieme a Paul Weller del collettivo Red Wedge,
creato per supportare le battaglie del partito laburista durante gli
anni bui thatcheriani, Bragg ha saputo dare nuovo vigore alla musica
folk attraverso un approccio punk e innervare di rock i muscoli della
canzone di protesta.
Armato
di una nervosa chitarra elettrica e del tipico accento dei sobborghi,
il songwriter inglese indossa le vesti di un Woody Guthrie urbano, sta
sulle barricate, anche fisicamente, non lesina parole di fuoco al primo
ministro e abbraccia la working class, alternando vigorose strette da
combattente ad affettuosi sguardi pervasi di popolare romanticismo.
Talking With The Taxman About Poetry
del 1986 (il titolo è una citazione da Majakovskij) è da sempre
considerato il suo capolavoro, un disco brillante, vivido ed emozionante,
che rappresenta al meglio il Bragg pensiero. Musica da one man band,
verace e spontanea, ma per la prima volta più curata sotto il profilo
degli arrangiamenti, che si fanno solo un filo più sostanziosi grazie
alla comparsa di qualche inusuale strumento (violino, organo, etc).
In scaletta, ci sono le consuete canzoni di militanza politica (God Save The Youth Of America) e di critica sociale (Ideology), veri e propri inni di schieramento (There Is Power In a Union), ma anche graffiti colorati di ingenuo romanticismo (Greetings To The New Brunette).
Su tutte le dodici composizioni del disco, però, svetta la tensione drammatica di Levi Stubbs’ Tears,
capace di toccare il cuore con un impianto melodico francescano e con
un testo struggente. La canzone, che anticipò l’uscita del disco come
singolo, fa riferimento a Levi Stubbs (1936-2008), voce inconfondibile
del gruppo vocale dei Four Tops (quelli di I Can't Help Myself e Loving You Is Sweeter Than Ever) e omaggia il trio di produttori e autori di molti dei successi Motown, Holland-Dozier-Holland.
Dietro
le citazioni e il tributo, il brano nasconde, tuttavia, una storia
triste, di violenza domestica e di prevaricazione. E’ l’incipit della
canzone a folgorare l’ascoltatore e a introdurci al dramma della
protagonista delle liriche: “With the money from her accident she bought herself a mobile home”.
Una
donna, vittima degli abusi del marito violento, con i soldi ricevuti in
risarcimento per le angherie subite, compra un camper e fugge via. Alla
deriva della propria vita, ma finalmente libera dal giogo di matrimonio
infelice, la donna trova conforto nell’unica cosa che l’ha sempre
sorretta anche nei momenti difficili.
E’ la grande black music, il r’n’b e il soul degli eroi di sempre (“Norman Whitfield and Barrett Strong Are here to make everything right that’s wrong. Holland and Holland and Lamont Dozier too”), unico sollievo di un’esistenza che va a rotoli e non lascia scampo alla speranza (“When the world falls apart some things stay in place. She takes off the Four Tops tape”).
Il
riscatto attraverso la fuga e la consolazione della musica: in un mondo
di miserie umane e di afasie etiche, è tutto ciò che rimane. Ma, forse,
possiamo farcelo bastare.
Blackswan, venerdì 13/03/2020
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