Anno
magico, il 1992, con tante uscite discografiche importanti ed
emblematiche del suono allora in voga e di quello che, da lì a poco,
prendere consolidata forma. E’, infatti, l’anno della techno ambient
ipnotica di Selected Ambient Works 85-92 degli Aphex Twin, dell’alternative lo-fi sporco e grezzo dei Pavement di Slanted And Enchanted,
del militante metal rap dei Rage Against The Machine e del loro
infuocato esordio, del capolavoro grunge a tinte metalliche del
leggendario Dirt degli Alice In Chains.
Decisamente
contro tendenza rispetto alle mode del momento è, invece, l’esordio dei
Black Cat Bone, power trio americano, proveniente dal Kentucky.
Composta dal chitarrista e cantante David Angstrom, dal bassista Mark
Hendricks e dal batterista Jon McGee, la band, che visse una stagione
brevissima, fu oggetto di culto di una ristrettissima cerchia di fan,
nonostante quel nome, Black Cat Bone, evocasse immediatamente i ben più
famosi Black Cat Bones di Paul Kossoff, band londinese di blues rock
operativa a Londra alla fine degli anni sessanta e dalla cui costola,
poi, nasceranno i Free.
Truth
fu un esordio, come si diceva, controcorrente rispetto all’allora
panorama musicale, dal momento che i tre ragazzi del Kentucky andavano a
rendere omaggio all’hard rock blues degli anni d’oro, citando a manetta
veri e propri miti come Jimi Hendrix, Led Zeppelin, Thin Lizzy, Free e
ZZ Top. Da questi ultimi, i Black Cat Bone, ereditarono come surplus
torridi accenti sudisti, ma la proposta rispetto alle fonti
d’ispirazione era decisamente più dura, rumorosa, sferragliante,
accelerata da un’urgenza quasi punk.
Riff
trucidi, assoli letali come un lanciafiamme in un campo di grano, e una
sezione ritmica vibrante, inesausta e martellante, con il basso
talvolta slappato, rendevano le dodici canzoni in scaletta un assalto
sonoro selvaggio e senza compromessi. Un suono classico, certo, ma non
frusto o anacronistico, dal momento che sotto l’armatura metal della
band batteva un cuore in extrasistole funky, vero segno distintivo della
proposta dei Black Cat Bone (emergono qui e là collegamenti con i coevi
Living Colour).
Un
disco lungo (un’ora secca di durata), sferragliante e votato al corpo a
corpo, in cui i pochi attimi di sospensione vengono utilizzati come
blocchi di partenza per impetuose e devastanti accelerazioni. Il riff
zeppeliniano dell’iniziale The Epic Continues (con quel ritornello che è più Zep degli stessi Zep), la derapata funky di Dynamic (che incorpora citazioni sabbathiane), la ritmica furente e in levare di Be Like Me, i deragliamenti jammistici di Dream e della title track, l’hard blues micidiale di Too Cool/Shoe Shine sono sventagliate ad alzo zero che feriscono a morte e non lasciano scampo.
Un
esordio fulminante e gagliardo, che apriva le porte a un futuro
luminoso per un gruppo che andava, si, controcorrente, ma che sarebbe
potuto arrivare ovunque, grazie alla potenza di tiro e a qualità
tecniche di alto prospetto. Peccato che la storia della band finisca
qui: David Angstrom, anima dei Black Cat Bone, molla il colpo e più
tardi andrà a fondare un altro killer trio, i Supafuzz. Ma questa, come
si suol dire, è tutta un’altra storia.
Blackswan, sabato 11/07/2020
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