The Devil And God Are Raging Inside Me (2006) rappresenta un concreto spaesamento con riferimento all’evoluzione artistica dei Brand New, lontani ormai anni luce dagli impeti pop-punk di Your Favorite Weapon (2001), e con questo album divenuti invece alfieri di un alternative rock, strutturato e maturo, che da un lato guarda alle soluzioni eteree dei coevi Dredg e a un certo goth rock a la Cure, e dall’altro rilegge, rinnovandola in chiave emo, la lezione (slow e post) core degli Slint e dei Fugazi, citati qui con gusto personalissimo.
L’iniziale Sowing Season (La stagione della semina) è la pietra angolare per comprendere un disco che, fin da lungo titolo, vive per contrasti, pieni e vuoti, urla e silenzi: il cupo sussurro di Jesse Lacey (in precedenza imbarcatosi brevemente nell’avventura screamo dei Taking Black Sunday) si adagia su un arpeggio di chitarra rarefatto e slintiano, per poi esplodere feroce in un grido raggelante e innalzarsi improvvisamente in un crescendo screaming. In questa canzone straniante e nel perfetto sincretismo fra soliloquio depresso e assalto all’arma bianca vive l’essenza di un disco, la cui musica può disperdersi in lente volute slowcore oppure esplodere, improvvisa e devastante, disperdendo ad altezza uomo esiziali schegge di postcore.
La canzone (originariamente intitolata semplicemente Yeah!), una delle prime del disco a essere rese di dominio pubblico, fu scritta da Lacey e da Vim Accardi (chitarra) nell’inverno del 2004. Lacey per il testo s’ispirò ai tanti membri della sua famiglia che andarono a combattere il secondo conflitto mondiale, ed in particolare al suo prozio Leo Lacey, in quale si trovava su una nave da trasporto diretta verso il Giappone. I bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki interruppero la missione dello zio, che fece ritorno in America, evitando così di combattere e rischiare di morire. Una tragedia immensa aveva salvato la vita al suo famigliare e questo fatto, accaduto tanti anni prima, innescò nel cantante una riflessione sulla perdita e sulle possibilità di riottenere ciò che si perde.
Una canzone dal testo ambiguo, ricco di sfaccettature, che parla di lutti (“Was losing all my friends. Was losing them to drinking and to driving” - “Stavo perdendo tutti i miei amici. Li stava perdendo a causa del bere e della guida”), delle avversità della vita e di chi ti mette i bastoni fra le ruote (“Take all that you have, And turn it into something you were missing. Somebody threw that brick, shattered all your plans” – “Prendi tutto quello che hai e trasformalo in qualcosa che ti mancava. Qualcuno ha lanciato quel mattone, ha distrutto tutti i tuoi piani”), ma anche della possibilità di riscatto e di ricostruire dalle fondamenta tutto ciò che è andato distrutto (“Time to get the seeds into the cold ground. It takes a while to grow anything” – “È ora di mettere i semi nel terreno freddo. Ci vuole un po' per far crescere qualcosa). Bisogna fare in fretta, però, e prendersi cura di chi si ama, perché la morte è sempre in agguato (“Before you put my body in the cold ground, Take some time to warm it with your hand” – “Prima di mettere il mio corpo nel terreno freddo, Prenditi del tempo per scaldarlo con la mano”). Una riflessione esistenziale, un testo profondo e psicologico, scritto da Lacey con in testa la celeberrima poesia If di Rudyard Kipling, che il padre aveva appeso in casa in un quadretto.
The Devil And God Are Raging Inside Me è una delle opere più interessanti del rock alternativo statunitense degli anni ’00 (in condominio, per affinità elettive, con El Cielo dei già citati Dredg). Certo, non si tratta di un viaggio sempre agevole, in considerazione dell’ostica violenza di certi passaggi imparentati strettamente al post-core; è pur vero che, alla resa dei conti, ciò che prevalentemente emerge dall’ascolto sono un profondo senso di sofferenza esistenziale e un lancinante smarrimento, di certo più congeniali a seguire l’ascoltatore nelle inclinazioni della propria voluptas dolendi.
Blackswan, mercoledì 24/02/2021
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