lunedì 1 marzo 2021

FOO FIGHTERS - MEDICINE AT MIDNIGHT (RCA, 2021)

 


Difficile trovare in circolazione una band più divisiva dei Foo Fighters. Da un lato, i fan, follemente innamorati del progetto, a prescindere da ogni valutazione sulla qualità o meno delle uscite discografiche; dall’altra, i tanti detrattori che, anche aprioristicamente, non lesinano giudizi di fuoco su una band considerata cazzara, chiassona e fin troppo mainstream. Come spesso succede, la verità sta nel mezzo: la creatura di Dave Grohl non è destinata a fare la storia del rock, ma non è certo peggio di tante altre band in circolazione (a cui magari si guarda con ingiustificata condiscendenza).

Dopo dieci album in studio e venticinque anni di carriera, la formula è rimasta pressoché immutata: chitarre rombanti, una debordante energia fisica punk rock, una certa predisposizione alla caciara e la capacità di forgiare nel metallo melodie easy dal sapore bubblegum. Una band votata a intasare le frequenze radiofoniche, con una straordinaria attitudine per le esibizioni live, sempre divertenti e vibranti, e che in studio fa più o meno lo stesso album da un quarto di secolo, a volte buono, altre decisamente meno.

I Foo Fighters li avevamo lasciati tre anni fa con Concrete And Gold, un album deludente, che sotto la patina luccicante del mainstream, proponeva pochissime idee e la pedissequa reiterazione di un suono decisamente standardizzato. Medicine At Midnight, per converso, ci propone la versione migliore del songwrting di Grohl, che pur non rinnegando il proprio credo musicale, prova a uscire, almeno un poco, dalla comfort zone, spostando gli accenti della consueta narrazione verso soluzioni ancora più melodiche e pop.

Una piccola svolta, con cui Grohl riesce nell’intento di tenersi strette le schiere di fan della prima ora e, al contempo, di allargare il seguito spingendo ancor di più su melodie di facile presa, ritornelli accattivanti e un suono perfettamente confezionato. Brutto da dirsi, ma evidentemente lockdown e quarantena hanno fatto bene alla band di Seattle, che ha avuto modo di concentrarsi sul materiale, scegliendo quello migliore, e badando al sodo della qualità anche a discapito del minutaggio (nove brani per soli trentasette minuti).

Il risultato è uno dei migliori dischi della premiata ditta, capace di spingere su decibel e riff di grande impatto emotivo (la cavalcata a briglie sciolte e il martello ritmico di No Son Of Mine, il funk rock saltellante di Cloudspotter), ma di creare in mezzo al consueto tiro adrenalinico quei ganci radiofonici irresistibili, che rendono i loro live act il momento perfetto per condivisi e infuocati singalong (la ritmica sensuale e la reiterata ripetizione del titolo in Shame Shame sembrano creati a bella posta per friggere le frequenze FM e creare un momento catartico sotto il palco).

E’ indubbio che canzoni come Waiting On a War (un distillato del suono Foo Fighter ascoltato centinaia di volte) o l’opener Making Fire (r’n’b elettrico con un riff che sembra rubato a Lenny Kravitz), pur nella loro prevedibilità, siano pervase da una freschezza espressiva contagiosa e coinvolgente, di quelle che costringono a reiterati ascolti. Ed è questa la forza di una band le cui armi, tirate a lucido e ben oliate, sanno ancora in grado di colpire il bersaglio, soprattutto se, come in questo caso, la mira è decisamente buona.

Le sorprese vere, però, arrivano quando Grohl e soci abbassano il tiro e riducono l’intensità: Chasing Birds è un ballatone anni ’70 avvolto da una seducente patina soul, e la title track gioca con una sorniona eleganza funky, che fa pensare addirittura ai Duran Duran.

E’ curioso pensare come, vista la tendenza mitigare col pop la potenza di suono dei lavori precedenti, fan della prima ora e consueti detrattori potrebbero trovarsi d’accordo nel criticare Medicine At Midnight, come un lavoro che tradisce le aspettative dei primi e conferma quelle dei secondi. Tutti quelli, invece, che non hanno alcuna ragione di indignarsi, questa piccola, ma peculiare svolta, potrebbe farli innamorare di un disco, la cui unica pretesa è quella di divertire. In questo senso, il decimo album dei Foo Fighters non vi deluderà: senza preconcetti e intellettualismi, fate suonare dalle casse del vostro stereo e a volume esagerato le nove canzoni in scaletta, e sarà festa assicurata.  

VOTO: 7




Blackswan, lunedì 01/03/2021

1 commento:

Euterpe ha detto...

preso anche questo. Contro tutti i miei pregiudizi nei confronti dei Foo Fighters mi è piaciuto moltissimo