I Buckcherry sono una di quelle band di cui non si sente la mancanza fino a quando non pubblicano un nuovo album. Poi, a causa di uno strano sortilegio, appena inserito il cd nel lettore, si crea una sorta di dipendenza. Perché se è vero che la band losangelina fa da sempre, più o meno, lo stesso disco, è quasi impossibile resistere a tanta baldanza e a una carica energetica che, in poche note, si trasforma in puro divertimento. Una formula immutabile nel tempo, che plasma un sanguigno hard rock sporcandolo con scorie sleaze, ma al contempo rendendolo appetibile con un tiro melodico di facile presa, e che cita i grandi campioni del genere (Motley Crue e Aerosmith su tutti) senza però perdere quel marchio di fabbrica impresso dalla voce roca e aggressiva del frontman Josh Todd. Ulteriore linfa vitale, poi, è arrivata dal nuovo chitarrista Billy Rowe (Jetboy) che ha sostituito, senza farlo rimpiangere, l’ottimo Kevin Roentgen.
Prodotto da Marti Frederiksen (già al lavoro con Aerosmith, Def Leppard, Jonny Lang e Sheryl Crow) Hellbound propone dieci tracce fresche e vibranti che surfano sulla cresta di un’onda rock ad alto contenuto di testosterone, che riesce a divertire senza prendersi troppo sul serio, e che spinge sulla velocità senza dimenticarsi il gusto melodico per la ballata virile.
54321 è una partenza a razzo, una tirata punk rock ruvida e senza compromessi, a cui fa seguito So Hott, altro rovente hard rock, sostenuto da una ritmica martellante presa in prestito dai Led Zeppelin. Clima torrido e citazione dotta anche per la successiva title track, che pesca dal cilindro un riff targato AC/DC, mentre l’armonica in apertura e l’incedere saltellante di Gun aprono ai Buckcherry più festaioli, quelli che pescano a piene mani dal suono Aerosmith, felici di far casino per il solo gusto di farlo.
Se Here I Come è un’altra sventagliata punk ad alto tasso di adrenalina e la successiva Junk ringhia un feroce rock blues corroborato da uno splendido assolo centrale di Rowe, l’ultima parte del disco si ammorbidisce, mettendo in luce anche la capacità della band di comporre brani dal luminoso impianto melodico: Wasting No More Time è un midtempo che acchiappa fin dal primo ascolto, The Way è una power ballad per rocker dal cuore tenero, mentre la conclusiva Barricade sviluppa trame più cupe che confluiscono in uno splendido ritornello.
Non c’è nulla che sorprenda in Hellbound, che è l’ennesimo disco di una band che fa al meglio ciò che ha sempre fatto e che ci si aspetta che faccia. Eppure, nonostante siano passati ben ventidue anni dal loro debutto, Josh Todd e soci riescono ancora a trasmettere vivida passione, avvampano di fuoco sacro e toccano il cuore con antico ardore. Davvero difficile non amare una rock band come questa.
VOTO: 7
Blackswan, giovedì 09/09/2021
Nessun commento:
Posta un commento