A voler giocare con il titolo del disco, è un dato di fatto che l’orizzonte musicale dei californiani Thrice sia sensibilmente cambiato da quello degli esordi. Un orizzonte certamente più ampio, la cui linea di demarcazione, quello fra i generi che lo compongono, è qualcosa di sfumato e di indeterminato.
Un percorso, quello intrapreso dalla band di Irvine, che ha trasformato l’originario approccio post hard core in una musica più contaminata e melodica. Horizons/East è, il tal senso il culmine della loro evoluzione: al primo ascolto è difficile, comunque, individuare dove collocarlo musicalmente, ma già al secondo e al terzo, si colgono quei dettagli fondamentali per farti dire che questo è, in tutto e per tutto, un disco dei Thrice. Duro e melodico, appassionato e malinconico, potente e seducente. Si sono evoluti, sono cambiati, sono i Thrice.
C’è un orizzonte da raggiungere, là in fondo, e Horizons/East potrebbe essere la perfetta colonna sonora di un lungo viaggio, fisico, certo, ma anche incorporeo, metafisico, spirituale. C’è la meraviglia dei colori e dei vasti spazi, un’atmosfera a tratti ariosa, quasi maestosa, che stupisce, e poi perplime, quando il mood si fa sofferto, malinconico, cupo. Una musica, in tal senso, che gioca con le commistioni di generi, ed è ambigua in modo seducente.
Apre The Color Of The Sky, incipit gonfio di elettronica, che accelera trainato da una ritmica convulsa e sfocia in uno di quei ritornelli alla Thrice, così immediatamente melodico e carico di pathos. Scavengers, il singolo di lancio, mostra sfaccettature decisamente più rock, echi post hard core nello spiegamento frontale delle chitarre, e una magistrale linea di basso. Il buon vecchio post hard core si ripresenta, pimpante e muscolare, anche nella vibrante Summer Set Fire to the Rain, grazie anche alla voce aggressiva di Dustin Kensrue, salvo, poi, arrestare improvvisamente la sua corsa, in un intermezzo morbido e malinconico, che potrebbe far pensare ai Coldplay, se il gruppo di Chris Martin fosse ancora in grado di scrivere grandi canzoni.
Bisogna dar atto ai Thrice di non aver dimenticato il loro passato (non mancano echi del loro splendido The Artist In The Ambulance) ma di essere stati capaci di rileggerlo con altri occhi, più maturi e consapevoli, dando vita così a soluzioni imprevedibili e a decise deviazioni fuori da quella che, un tempo, era la loro comfort zone. Ecco allora il basso potente e metallico di Buried In The Sun, che apre ad aggressivi scenari (quasi) post punk, ecco l’immaginifica Northern Lights, che si sviluppa attraverso moduli jazz e un drumming leggermente in levare e si schiude poi in un ritornello voluttuosamente malinconico, ecco il battito elettronico e l’arpeggio di chitarra che conduce la struggente Robot Soft Exorcism versi territori contigui ai primi Radiohead, ecco la fuligginosa Still Life, che sporca lo sviluppo slintiano con scorie grunge reclamanti una parentela alla lontana con gli Alice In Chains.
Sigilla il disco la conclusiva UnitivEast, sfarfallio pianistico che evapora in un barbaglio di sole, ennesima conferma del talento di una band abilissima a mischiare le carte anche all’interno dello stesso disco.
Piaccia o no ai fan della prima ora, Horizons/East è un disco splendido, dotato della stessa caratura artistica dello strepitoso Vheissue, album della svolta datato 2005. I Thrice oggi sono maestri nel plasmare un suono duro per renderlo alla portata di tutti, da un lato, mantenendo la centralità delle chitarre e la ruvidezza del cantato, dall’altro, smussando, però, le asperità della proposta, con un sapiente dosaggio di elettronica e una predisposizione melodica che, talvolta, lambisce il pop. Un viaggio verso nuovi orizzonti, intrapreso con coraggio, mestiere e intelligenza, senza mai sputtanarsi o tradire un indubbio, solido ed estroso livello qualitativo.
VOTO: 9
Blackswan, lunedì 27/09/2021
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