Quando Adele ha pubblicato il suo album di debutto 19, nel 2008, e ha poi conseguito seguito il successo mondiale con 21,
due anni dopo, piaccia o meno, si è ritagliata una nicchia importante
nel mondo della musica, che col passare del tempo, è andata sempre più
ad ampliarsi. La sua voce potente e piena di sentimento, il suo modo di
scrivere canzoni, che l’ha sempre distinta da molti artisti coevi, e il
suo approccio sincero alla cronaca degli alti e bassi della sua vita, ha
reso la sua musica avvincente, anche fuori dal circuito squisitamente
mainstream.
Da quando è uscito 21, Adele è diventata così una vera e propria icona, e la pubblicazione poi di 25 (2015) e il boom clamoroso del suo singolo Hello (prima piazza in ben trentacinque classifiche mondiali!) l'hanno trasformata in un vero e proprio fenomeno di massa: la sua sofferta sensibilità, la sua musica diretta ma non banale, per non parlare della sua pura abilità vocale, l'hanno resa un appuntamento fisso nelle radio e nelle charts di tutto il mondo.
E così, in poco tempo, nell’immaginario collettivo, Adele è diventata sinonimo di “canzone soul triste”, Adele è diventata “un suono”.
E non è difficile immaginare diversi produttori che, in durante le
registrazioni di un disco, incoraggino le proprie artiste a cantare
esattamente come farebbe Lei.
Queste, dunque, le aspettative che hanno accompagnato l’uscita tardiva del quarto album in studio, 30, disco anticipato da "Easy On Me",
ballata meditabonda, voce potente, il consueto approccio sincero,
melodia guidata dal pianoforte e arrangiamento scarno. Tutti gli
elementi che hanno definito uno stile unico: questo è il suono che i fan
si aspettavano, questo è il caldo abbraccio di Adele, che era mancato
per sei anni.
Per buona parte della scaletta, 30 soddisfa appieno le attese di chi da sempre ha amato la cantante londinese, grazie a un filotto di canzoni, levigate da una produzione “cinematografica” e, talvolta, un po’ patinata (direbbero forse i detrattori), in cui Adele riversa senza filtri il suo cuore, la sua anima e le sue lacrime. Cioè, il suo suono.
Oltre a "Easy On Me", si muovono sulle stesse coordinate anche l’iniziale e classicissima "Strangers by Nature", che evoca il fantasma di Judy Garland e che starebbe benissimo in un disco di Rufus Wainwright, la ricerca del conforto dal dolore nel gospel dagli echi seventies e dalle partiture pianistiche di "I Drink Wine", il minimalismo di "Hold On" e l’intensa "To Be Loved", con Tobias Jesso al piano, in cui Adele dà sfoggio delle sue incredibili doti vocali. Chi cercava quel suono in purezza è accontentato, perché queste canzoni rappresentano il marchio di fabbrica costruito in carriera e sono tutte, pur nella loro prevedibilità, molto belle.
Il disco, però, vive anche di momenti che potremmo quasi definire “anomali”,
con cui la songwriter britannica esce dalla sua comfort zone, per
provare a imboccare altre strade. Come avviene, ad esempio, nel levigato
panorama sonoro di "My Little Love", una delicata dedica al
proprio figlio, che cattura atmosfere à la Sade. Un brano lungo, caldo e
incredibilmente sincero, che esprime la preoccupazione di una madre
(Adele ha divorziato da poco e si è trasferita da Londra a Los Angeles)
per aver mandato in frantumi il mondo del proprio figlio, la cui voce,
peraltro, compare nel campionamento di un dialogo reale, che riveste di
ulteriore intimità questi sei minuti e mezzo, che sono il picco emotivo
dell’album. In "Cry Your Heart Out", poi, Adele manipola
elettronicamente la sua voce per riflettere il disorientamento di non
essere all'altezza delle proprie aspettative sentimentali, e ne esce un
brano incredibilmente leggero e frizzante, trascinato da un groove dagli
ammiccamenti reggae. Un'inaspettata novità.
La sperimentazione vocale entra in gioco anche su "Oh My God", un altro brano gioioso, in cui il vortice delle voci si appoggia su un'irresistibile ritmica R&B, mentre Adele canta la propria rinascita, l’incertezza ma anche la speranza per una vita nuova. Così come nella successiva "Can I Get It", che inizia con vibrazioni molto "Rolling In The Deep" prima di aprirsi a un groove sbarazzino e danzereccio.
In scaletta, altri due gioielli che meritano di essere ricordati: le toccanti atmosfere soul di "Woman Like Me", melodia essenziale, chitarra e voce, e un testo che raggruma il dolore per il matrimonio fallito, e "Love Is A Game",
perfetto mix tra l'Adele di un tempo e quella di oggi, brano
dall’incipit cinematografico, il cui sviluppo, poi, cita in modo
inequivocabile Amy Winehouse, non solo nel titolo, ma anche nel modo di
cantare e in uno stupefacente arrangiamento in quota Motown.
Pur non avendo in scaletta hit scala classifiche, è fuor di dubbio che 30 vivrà lo stesso impatto mediatico e lo stesso successo dei lavori precedenti, e ingolferà le radio FM di numerosi passaggi. Adele è un’artista che vende, che piace trasversalmente, che sa conquistare la gente con melodie che toccano il cuore e con testi in cui tutti possono ritrovarsi. Sarebbe però riduttivo riconoscerle solo ed esclusivamente lo status di fenomeno commerciale. Con questo nuovo lavoro, infatti, siamo anche di fronte a una musicista che ha raggiunto la maturità della consapevolezza, e che oltre alle innegabili e consuete doti vocali è cresciuta esponenzialmente anche come autrice. Capace di essere fedele a se stessa e al contempo di rinnovarsi, di cercare altre strade che, forse, in futuro, porteranno ulteriori e più decisivi cambiamenti.
VOTO: 8
Blackswan, lunedì 20/12/2021
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