giovedì 30 dicembre 2021

OASIS - KNEBWORTH 1996 (Big Brothers Recordings/Kosmik Kyte, 2021)

 


La storia, più o meno, è nota a tutti. Negli anni ’90, in tutto il mondo, impazza la scena brit pop che, tra le centinaia di gruppi, vede come capostipiti i Blur e gli Oasis, protagonisti di una querelle musicale creata ad arte dalla stampa. I primi, londinesi, raffinati e fighetti, i secondi, invece, provenienti da Manchester, figli della working class, incarnazione perfetta dell’iconografia della rock band, tutta alcool, scazzottate e intemperanze assortite. “Due ladri d’auto di Manchester con gli spartiti dei Beatles”, li definirà mirabilmente qualcuno, cogliendo a pieno l’essenza della proposta musicale dei fratelli Gallagher, figli di quell’Inghilterra proletaria, tutta pub, stadio e fish and chips, bravi a intercettare e far rivivere con credibilità la passione inesausta del pubblico per le canzoni dei Fab Four.

Dureranno poco, almeno da un punto di vista creativo, i giorni di gloria degli irascibili fratellini: un esordio folgorante, Definitely Maybe, del 1994, e il successivo, (What’s The Story?), Morning Glory? (1995), universalmente riconosciuto come il loro capolavoro, due album capaci di coagulare energia rockista e gradevoli melodie di facile presa, che finiscono per ingolfare i passaggi radiofonici di mezzo mondo. Quando il 10 e l’11 agosto del 1996, gli Oasis salgono sul palco dello Knebworth Park, nella contea inglese dello Hertfordshire, la band vive il suo momento di maggior successo: i biglietti dei concerti si esauriscono in meno di un giorno e all’evento sono presenti circa 250.000, a fronte di una richiesta complessiva di più di un milione e mezzo di tagliandi.

Un evento epocale, quindi, per due serate, la prima, ai tempi, trasmessa da BBC1 Radio in esclusiva, la seconda, da cinquecento stazioni, che sono qui documentate in un cofanetto composto da due cd musicali e da un dvd contenente il film dell’evento, per la regia di Jake Scott, figlio del più celebre Ridley. Un ibrido fra concerto e documentario, che fotografa la performance, si sofferma sulla personalità dei fratelli Gallagher e il loro protagonismo guascone (non senza una punta, per così dire, di agiografia), e racconta, con sincero coinvolgimento emotivo, le storie, le avventure e disavventure dei fan che hanno partecipato all’evento.

Il concerto, nella sua evidente imperfezione (la resa sonora non è il massimo), resta un documento fondamentale, sia per i fan nostalgici dei fratelli Gallagher, sia per quegli appassionati che vogliono approfondire un periodo cruciale della storia musicale degli anni ’90, un’epoca non lontanissima nel tempo, ma che sembra distante ere geologiche (incredibile: in platea non compare nemmeno un telefonino!).

Gli Oasis, dal vivo, non avevano una grande presenza scenica (sempre molto statici sul palco), ma sapevano farsi valere grazie a un impatto energetico devastante (chi scrive, ai tempi, li vide tre volte e sempre con grande soddisfazione) e a un filotto di canzoni innodiche che, nel tempo, hanno ormai acquisito lo status di grandi classici: "Roll With It", "Live Forever", "Supersonic", "Some Might Say", "Don't Look Back In Anger", "Champagne Supernova" e "Wonderwall". Nel finale, anche una meravigliosa cover di "I Am The Walrus" dei Beatles, indispensabile omaggio alla principale fonte d’ispirazione degli Oasis e un nostalgico cerchio (di storia) che si chiude.

VOTO: 8

 


 

Blackswan, giovedì 30/12/2021

2 commenti:

Arianna Marangonzin ha detto...

Mi piacevano molto!
Capita di riascoltarli.
Buon Anno Nuovo!

Blackswan ha detto...

@ Arianna: Buon anno anche a te, Arianna!