In copertina, una maschera antigas adornata di fiori e farfalle: un’immagine forte, che colpisce immediatamente lo sguardo e che inizialmente perplime. Il messaggio, però, è solo apparentemente straniante e contraddittorio, perché in Direction Of The Heart, diciottesima fatica degli scozzesi Simple Minds, convivono i due opposti così ben raffigurati: il dolore di questi giorni tristi, in cui imperversano la pandemia e la guerra, e la gioia di continuare a fare musica, un veicolo di speranza e di pace, che unisce, quando tutto il mondo appare sempre più diviso da un odio ingiustificato.
Un sfida decisamente vinta da parte di una band che, dopo un decennio di gloria, quello degli anni ’80, aveva perso l’ispirazione dei giorni migliori, vedendo progressivamente scemare la propria fama e l’esposizione mediatica. Taormina, dove Jim Kerr risiede ormai da tempo, sembra aver progressivamente restituito ispirazione alle “menti semplici”, che da Big Music (2014) in poi, pur non toccando più i vertici di autentici capolavori come New Gold Dream e Sparkle In The Rain, hanno ritrovato continuità e non hanno più sbagliato un disco, compreso questo.
E proprio in Sicilia ha visto la luce la maggior parte del materiale di questo Direction Of The Heart, che vede ancora saldamente al comando il cuore pulsante della band (oltre a Jim Kerr, il fedelissimo Charlie Burchill) e che ha trovato nuova linfa vitale grazie all’effervescente contributo di musicisti di livello quali Gordon Goudie alla chitarra, Cherisse Osei alla batteria, Berenice Scott alle tastiere, Sarah Brown ai cori e Ged Grimes, ex Danny Wilson, al basso.
Intendiamoci, in Direction Of The Heart non c'è nulla che faccia sobbalzare dalla sedia, ma è un disco vivo e scalciante (per citare una grande hit del gruppo), forte di un sound energico e ottimista, con qualche eco del lontano passato e alcuni riff di Burchill che ci ricordano il motivo per il quale, la band scozzese, dopo ben 45 anni di attività, è ancora lontana dalla pensione.
Tutto funziona bene all’interno di una scaletta coesa nei suoni, in cui Kerr e soci, pur guardando alla deriva di un’umanità sempre più sconsolata e impaurita (la tensione che pervade "Who Killed Truth?", brano sul tema dell’informazione e delle fake news, ne è un esempio lampante), trovano quasi sempre una spinta melodica irresistibile, capace di far battere il piede, anche grazie a una pompatissima sezione ritmica. Una positività che riesce letteralmente a pulsare fin dall’iniziale "Vision Thing", omaggio al papà di Kerr, morto nel 2019, o nella successiva "First You Jump", una sorta di viaggio a ritroso nel tempo, a quegli anni in cui Simple Minds e “i rivali” U2 riempivano le arene e apparivano sulle prime pagine di tutte le riviste musicali.
Un’effervescenza pop che scuote la luminosa "Human Traffic", in cui compare un cameo di Russell Mael degli Sparks, e che diventa addirittura irresistibile in "Act Of Love" (un brano scritto nel lontano 1977), una tirata ritmatissima che sfocia in un ritornello di quelli da cantare a squarciagola sotto il palco. Che questa sia musica che potrà funzionare maledettamente bene dal vivo, lo si comprende anche da "Solstice Kiss", in cui il mood celtico iniziale si gonfia progressivamente di potenza da stadio, in un crescendo che evoca brani celebri come "Belfast Child" e "Alive And Kicking".
Un altro brano ripreso dal passato è la conclusiva "The Walls Came Down", una cover dal repertorio dei Call, scritta nel 1983 con riferimento alla guerra fredda e alle politiche della Thatcher e di Reagan, e oggi riadattata per raccontare gli anni della Brexit, di Farage, di Trump e di Orban, anime nere che vogliono costruire muri (fisici o ideali) per dividere l’umanità tra privilegiati e diseredati.
Dopo quarantacinque anni di carriera, e alcuni dischi non proprio centrati, i Simple Minds sono riusciti a riprendere in mano il timone della loro arte e a tracciare una nuova rotta, che sembra più sicura e solida che mai. Per farlo, non hanno dovuto inventarsi nulla di incredibile, hanno riproposto il loro suono, riuscendo però a riaggionarlo, voltando le spalle alla nostalgia e piantando i piedi nel presente. Non sposteranno più il baricentro della scena musicale, certo, ma restano ancora credibili e affidabili, meritandosi nuovamente la stima e l’amore incondizionato che i fan della prima ora non smetteranno mai di tributare loro.
VOTO: 7
Blackswan, martedì 29/11/2022
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