Segnatevi il nome di Thomas Frank Hopper, giovane chitarrista e cantante belga, che ha dato alle stampe il suo esordio, intitolato Bloodstone. Background rock blues classicissimo, con vista sugli anni '70, ma piglio volitivo e approccio scorbutico, Hopper, a dispetto della giovane età, possiede la consapevolezza del veterano, quella che ti fa comprendere che per fare buona musica, non basta metterci sangue e sudore, ma devi anche avere memoria, conoscere a menadito i tuoi riferimenti e capire attraverso quali percorsi, una musica dalle radici antiche, possa ancora suonare fresca, se non proprio innovativa.
Hopper, inevitabilmente, cita (nel finale di "Savages", ad esempio, onora i Led Zeppelin di "Dazed And Confused"), ma lo fa con una tale spavalderia da apparire credibilissimo, sventaglia riff abrasivi, ma i brani si allontanano dal prevedibile grazie a una costruzione non lineare, e si cimenta con successo anche quando affronta ballate folk ombrose ("Tomb Of The Giant") o blues antichi riletti attraverso un’evocativa atmosfera dal sapore cinematografico (la conclusiva, emozionante, "Mississippi").
Accompagnato da una backing band perfettamente funzionale al progetto e tanto tecnica quanto potente (Diego Higueras alla chitarra, Jacob Miller al basso e Nicolas Scalliet alla batteria), il ragazzo belga (il cui timbro vocale ricorda da vicino quello di Josh Kiszka dei Greta Van Fleet) dispiega un armamentario elettrico energico ed efficace, dimostrando di maneggiare con naturalezza le diverse sfaccettature del suono rock blues. L’apripista è la title track, storia di un uomo che torna dal mondo dei morti per vendicarsi, e si capisce subito di pasta è fatto il ragazzo: anni ’70 nel cuore, riff spaccasassi e performance vocale tesa e coinvolgente.
Il tiro funky della sensualissima "Come Closer" è una botta di adrenalina che stende come un colpo da ko diretto sullo zigomo, e le schermaglie chitarristiche del finale sono orgasmo puro per tutti coloro che amano l’assalto elettrico della sei corde. Funzionano benissimo anche l’incedere blues ancheggiante di "Dirtylicious", il rock saltellante e furbetto di "Sweet Black Magic Sugar Babe" e la solare euforia a tutta slide della settantiana "Into The Water".
Le già citate ballad, una posta a metà album ("Tomb Of The Giant") e una alla fine ("Mississippi"), rallentano i giri di un motore, che diversamente gira a mille, sia quando le atmosfere si fanno più oscure e tese ("Tatanka") sia quando il chitarrista toglie dal taschino la foto degli Zep ("Bad Business" e "Savages", trainata da un giro di basso da pelle d’oca), tenendosi ben lontano però dal mero copia incolla, sia quando lambisce i confini dell’hard rock, con un vibrante e potentissimo approccio funky ("Mad Vagabond").
Difficile resistere a tanta autentica passione, a un suono così verace e sincero, spinto dalla vitalità travolgente di un ragazzo che sa esattamente da dove è partito e dove vuole arrivare. Per il momento è nicchia pura, ma sono convinto che Thomas Frank Hopper abbia tutte le carte in regolare per sfondare. Se amate il genere, l'ascolto è consigliatissimo.
VOTO: 8
Blackswan, martedì 27/12/2022
Nessun commento:
Posta un commento