lunedì 15 maggio 2023

DONNA TARTT - DIO DI ILLUSIONI (Rizzoli, 2003)

 


Un piccolo raffinato college nel Vermont. Cinque ragazzi ricchi e viziati e il loro eccentrico e affascinante professore di greco antico, che insegna al di fuori delle regole accademiche imposte dall'università e solamente a una cerchia ristretta di studenti. Un'élite di giovani che vivono di eccessi e illusioni, lontani dalla realtà che li circonda e immersi nella celebrazione di un passato mitico e idealizzato, tra studi classici e riti dionisiaci, alcol, droghe e sottili giochi erotici. Fino a che, in una notte maledetta, esplode la violenza. E il loro mondo inizia a crollare inesorabilmente, pezzo dopo pezzo.

Se affronterete un libro come Dio di Illusioni, folgorante esordio letterario del premio Pulitzer, Donna Tartt, preparatevi a prendervi del tempo, per approfondire, per rielaborare, per comprendere il significato ultimo di queste emozionanti 622 pagine.  Non perché sia una lettura particolarmente complessa, questo no: non si fatica ad affrontare il ponderoso tomo, dal momento che la brillante scrittrice statunitense tiene il lettore incollato al romanzo con una prosa affabulante e densa, che punteggia di colpi di scena, di dialoghi serrati e intensi, e di digressioni avvincenti.

Tuttavia, come per tutti i grandi romanzi, i piani di lettura sono diversi, si può restare in superficie, e godere comunque di una trama appassionante e ricca di spunti, oppure avventurarsi nel profondo di un’opera che ha molto da dire, ben oltre le vicende narrate.

L’impatto è immediatamente destabilizzante: l’incipit chiarisce subito che il fulcro della narrazione è un omicidio, un fatto di sangue la cui portata e le cui conseguenze vengono svelate lentamente, attraverso un racconto che possiede la suspense e gli esiti esiziali di una bomba a orologeria. Nonostante, poi, il romanzo si svolga negli anni ’90 del secolo scorso, l’ambientazione profuma di antico, di carta e di inchiostro, di cuoio e di legno, e possiede il retrogusto gotico di luoghi impolverati dal tempo, come possono esserlo solo le austere aule accademiche e immense librerie di tomi rilegati in un passato lontanissimo. I sei giovani protagonisti del romanzo, inoltre, studiano greco antico, circostanza che evoca un mondo parallelo, elitario, distante dalla realtà quotidiana, che, apparentemente, sfiora appena le vite degli studenti, immersi nei miti e nei riti di quel mondo classico, che tentano stolidamente di riportare in vita. Un mondo di illusioni, alimentato dal fascino del professore Julian Morrow, docente irresistibile, retore ammaliante, seducente esteta, ma anche uomo sfuggente, insondabile e manipolatore.

In questa cornice, si sviluppa una storia dalle fosche tinte gialle, i cui personaggi intersecano le proprie traiettorie, costruendo legami apparentemente solidi, ma in realtà intrecciati col filo della menzogna, dell’ipocrisia e del tradimento, e abbandonandosi a eccessi di ogni tipo, spinti da un senso di sprezzante superiorità, lo stesso che giustifica anche la più turpe delle azioni, e da una fallace consapevolezza d’immortalità.

In tal senso, Dio Di Illusioni è, ben oltre la sua superficie di romanzo d’intrattenimento, un racconto di formazione, che parla della giovinezza e degli inganni che la giovinezza porta con sé. Perché la dura realtà della vita non fa sconti, e tutto livella, trasformando in un incubo la convinzione di essere onnipotenti, la speranza nel futuro, l’incoscienza del prossimo e l’arroganza di poter plasmare il mondo a propria immagine e somiglianza. E’ profondo e ineluttabile, quindi, il quesito etico che permea l’intera narrazione: qual è il confine che separa il bene e il male? E’ lecito superarlo per difendere se stessi dalla catastrofe? E cos’è il senso di colpa: semplice rimorso o l’unico, vero limite (postumo) alla deriva etica delle nostre azioni?

E’, tuttavia, possibile scavare ancora più a fondo e azzardare un’ulteriore riflessione, perché l’illusione che muore è anche quella di una cultura accademica, elitaria e sprezzante, quel patrimonio non condiviso, che evapora in tutta la sua vacuità di fronte al muso duro di una realtà che non fa sconti. Perché non c’è bellezza se non c’è umanità, non può esserci arte se non si parla al cuore di tutti gli uomini. Ed è proprio il mesto e malinconicissimo finale a mettere una pietra tombale su un mondo privilegiato e classista, tanto affascinante quanto moralmente inconsistente. Questo è un grande romanzo, uno di quelli che restano impressi nella mente, e che spingono inevitabilmente a porsi domande. Prendetevi del tempo, dunque, perché il romanzo è lungo, certo, ma soprattutto perché invita al dubbio e mette a repentaglio parecchie certezze. Che, poi, è il fine ultimo della buona letteratura.

 

Blackswan, lunedì 15/05/2023

1 commento:

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