Creativi e versatili, abili nel contemperare la potenza di un metal declinato con accenti funk e l’appeal radiofonico di melodie di facilissima presa, gli Extreme hanno dato il meglio a cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio del decennio successivo, grazie a un filotto di tre album ispiratissimi, tra cui il leggendario Pornograffiti (1990), quello, per intenderci, che conteneva la super hit "More Than Words".
Dal 1995 al 2008, poi, più nulla, complici progetti solisti (Nuno Bettancour) e altri percorsi professionali (Gary Cherone entra a far parte per un breve periodo nei Van Halen), e, quindi, un ritorno, Saudades De Rock, che dimostrava la tenuta della band di fronte al logorio del tempo.
Da
quel disco sono passati ben quindici anni, un periodo talmente lungo
che ci avrebbe fatto dimenticare della band se, a ricordarcela, non ci
fosse quella clamorosa signature song di cui sopra, che produce, per
riflesso pavloviano, un’immediata connessione agli Extreme.
Six, in barba all’anagrafe della line up, è un disco riuscito, che porta il marchio di fabbrica di un suono immutabile, alternando riff potenti, ritornelli vincenti, qualche concessione al metal e un’evidente propensione alla ballata, che è il piatto forte della scaletta, a cui, però, non mancano momenti adrenalinici. Gary Cherone è in gran forma, ispido quando c’è da mostrare i muscoli, caldo e vellutato quando lo scopo è illanguidire l’ascoltatore, mentre la sezione ritmica (Pat Badger al basso e Kevin Figueiredo alla batteria), solida come un macigno, fa il suo lavoro con asciutta perizia. Sugli scudi, però, ci va Nuno Bettancourt, che apparecchia anche la produzione del disco, mettendo in bel risalto il suo lavoro alla chitarra: riff potenti, certo, ma soprattutto assoli fulmicotonici, che mettono in vetrina tecnica e fantasia da autentico fuoriclasse. Perché anche se non gode dell’hype di tanti altri illustri colleghi, il cinquantaseienne chitarrista di origine portoghese è, a tutt’oggi, uno dei migliori interpreti dello strumento in chiave rock.
Basta dare un ascolto alla tripletta iniziale ("Rise", "#Rebel" e "Banshee") per rendersi conto non solo della bravura di Bettancourt (l’assolo sull’iniziale "Rise"
è di quelli che fanno capottare dalla sedia) ma anche della ritrovata
potenza di tiro di una band che non mostra nemmeno una ruga.
Dopo la partenza a razzo, il disco diventa meno compatto e più vario. "Other Side Of The Rainbow" è un solare gioiello di melodia che potrebbe stare benissimo nella scaletta di un disco dei Foo Fighters, "Small Town Beautiful" è una ballata acustica piacevole, anche se non particolarmente incisiva (ma la prova di Cherone è da applausi), "The Mask" pigia nuovamente il piede sull’acceleratore grazie a una ritmica che ricorda quella di "Running Free" degli Iron Maiden, anche se il brano suona più come un riempitivo. Molto meglio la successiva "Thicker Than Blood", tirata e funky, spolverata di elettronica e sorretta da un riff dal ghigno malefico, o la tensione grunge che scuote la possente "Save Me".
"X Out" utilizza ancora l’elettronica con risultati positivi, soprattutto nelle parti più melodiche, davvero avvincenti, e se "Hurricane" si gioca la carta di una resa acustica quasi francescana con inserti d’archi, la conclusiva "Here To The Losers" è la classica ballata da cantare sotto il palco, accendini alla mano.
Resta da segnalare ancora "Beautiful Girls", un brano totalmente fuori sincrono rispetto all’album (e alla storia degli Extreme), costruito su una ritmica vagamente reggae e su una melodia super pop, buona solo per distratti passaggi radiofonici. Unico punto debole di un album che segna l’ottimo ritorno di una band, non più in grado, probabilmente, di scrivere un’altra "More Than Words", ma che riesce ancora a brillare grazie a una formula tirata a lucido con mestiere e parecchia passione.
VOTO: 7
GENERE: Rock, Hard Rock
Blackswan, venerdì 18/08/2023
1 commento:
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