Capitanati dalla figura carismatica di Mark Hennessy cantante, poeta e professore, già leader dei Paw, i Godzillionaire (gli altri sono Ben White alla chitarra, Michael Dye al basso e Cody Romaine alla batteria) forgiano un incandescente mix di stoner, psych rock, grunge e southern caratterizzato da ferocia ma anche da una sensibilità melodica in bilico tra atmosfere trasognate e altre decisamente drammatiche.
Una
musica intensa e senza compromessi, un suono che evoca l’alternative
rock anni ’90, ma sviscerato attraverso una lectio magistralis che rende
una materia antica brillante, dinamica, distintiva e lontana da
consunti clichè. Diminishing Returns è, in tal senso, un disco
che può trovare consensi sia fra i nostalgici di quel suono che fra le
nuove generazioni, attratte da una potenza di suono che non fa
prigionieri, da chitarre pronte ad appiccare incendi e da un songwriting
brillante e ispirato.
Otto canzoni per tre quarti d’ora di musica, che iniziano con l’adrenalinica "Drowning All Night", tamburi battenti e linea di basso inesorabile per un brano che si carica di tensione selvaggia, che viaggia a velocità apparentemente incontrollata, come un treno sempre sul punto di deragliare e che, invece, pur accelerando, riesce a restare incollato ai binari anche nelle curve più pericolose. "Boogie Johnson" è ancora più violenta, grunge strafatto di steroidi, la cui brutalità annichilente ricorda i Mudhoney o i Soundgarden più incazzati.
Una
corsa a perdifiato che si ferma sulle note di "Spin Up Spin Down", un
gioiellino di melodia lisergica, avvolto da luminescenze astrali e da un
dolce senso di malinconia, spazzato via poi da un assolo di chitarra
fulminante e un outro di rarefazione psichedelica. Un momento melodico
centratissimo, a cui si aggancia l’altra splendida ballata del disco,
"Unsustainable", una canzone inaspettatamente dolce ed evocativa per
pianoforte elettrico e batteria elettronica, una sorprendente anomalia
pop, che testimonia la capacità della band di osare per cercare diverse
strade espressive fuori dagli steccati del genere.
Il resto della scaletta, tuttavia, non fa prigionieri. "Astrogarden" con i suoi riff circolari e ipnotici spinge l’acceleratore su uno stoner malevolo e aggressivo che evoca i Queen Of The Stone Age, mentre "3rd Street Shuffle", il primo singolo tratto dal disco, veste con un armatura hard rock il groove funky, e viaggia letale su uno strepitoso assolo di Ben White.
Chiudono la scaletta la lunga "Common Board Magic Nail", trascinata in una coltre vagamente psichedelica da una superba linea di basso, e l’ancor più lunga e fosca "Shadow Of The Mountain", che trova il perfetto punto di fusione tra la sgranata ossatura grunge ed echi che rimandano nella melodia ai Lynyrd Skynyrd di Simple Man.
Fatti i conti con la copertina del disco, che è parecchio respingente (e non sono da meno le facce dei quattro brutti ceffi che compongono la band) la scaletta di Diminishing Returns contiene otto gemme di granitico e viscerale rock, che evoca un passato illustre ma lo rilegge con approccio filologico e freschezza espressiva. Una cannonata.
Voto: 8
Genere: Stoner, Grunge, Psych Rock
Blackswan, mercoledì 12/03/2025
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