lunedì 17 marzo 2025

Jonathan Hultén - Eyes Of The Living Night (Kscope, 2025)

 


Quello dei Tribulation è un nome noto a tutti gli amanti di un certo metal svedese strettamente imparentato con il death, eppure ricco di intenti sperimentali, con cui la band ha contaminato il genere con elementi progressive, darkwave e rock tout court. Leader di quella band, oltre al cantante Johannes Andersson, è stato per lunghi anni il chitarrista Jonathan Hulten, che nel 2020, fulminato come San Paolo sulla via di Damasco, ha mollato il gruppo per intraprendere la strada solista. Di sicuro nessuno però si sarebbe mai aspettato un passaggio così radicale, una trasformazione alchemica attraverso la quale il chitarrista ha abbandonato il metal estremo per addentrarsi in territori eterei, caratterizzati da un folk crepuscolare, che trova nella contaminazione (elettronica, pop, rock) un declinazione meticcia irresistibile.

Nel suo album di debutto del 2020, Chants From Another Place, l'ex chitarrista dei Tribulation ha completamente cancellato il suo passato, spegnendo l’aggressione rumorista a favore di una bellezza liminale, a tratti astratta e spirituale. Un disco che viveva in una dimensione atemporale, se non fosse per quei continui rimandi nel suono a capisaldi quali Nick Drake e John Martin, per citarne alcuni, immersi nell’evocativo e seducente panorama scandinavo, tra nevi eterne e natura selvaggia.

Se in questo esordio le pennellate erano tenui e la sensazione spesso vaporosa, Eyes Of The Living Night sembra, invece, un'esplosione di colori, tanto che l'atmosfera sommessa e inquietante del suo predecessore sboccia in qualcosa di decisamente e sorprendentemente più espansivo.

Se le sue guide spirituali in quel primo disco erano i citati Drake e Martin (la cui presenza echeggia anche nella nuova scaletta), oggi la gamma espressiva di Hulten si è fatta più ampia, fino ad abbracciare altri straordinari musicisti, quali David Sylvian, This Mortal Coil e Kate Bush, soprattutto in termini di approccio e nella volontà di costruire atmosfere elusive, immateriali, in cui complessità e melodia viaggiano sullo stesso seducente binario.

"The Saga And The Storm" apre l'album con cinque minuti di cristallina bellezza, sottotraccia un sentore di folk ancestrale, mentre un delicato fluire di synth e una melodia avvolgente, introducono la voce versatile di Hultén che conduce verso sentieri più oscuri, fino al climax di una spigolosa coda rock. Altrettanto coinvolgente è la successiva "Afterlife", la melodia fluttuante a mezz’aria sostenuta da uno sfarfallio di synth, la ritmica oscura e i controcanti che attenuano l’estasi, evocando un’oscura malinconia.

Ogni canzone introduce a un'atmosfera diversa e diversamente irresistibile: "The Dream Was The Cure" si apre con un disturbante ronzio di hammond, prima che un chitarra acustica conduca verso un folk dalle seducenti atmosfere norrene, "The Ocean's Arms" galleggia sul mare placido di una melodia morbidissima, quasi pop, mentre Falling Mirages è un brano avvolto da delicatezze folk, accentuate da una tastiera che sembra fischiettare dando al brano un surplus straniante. E se la magnifica "Riverflame", pianoforte elettrico e slide, viene infestata, nel suo incedere soul, dai fantasmi di una notte vissuta sul filo della disperazione, "Vast Tapestry" non può che rimandare a Nick Drake, mentre "Dawn" sfrutta l’abilità di Hulten nel creare scenari in cui elettronica e elettricità convivono in perfetta simbiosi con strumenti acustici, in un crescendo celestiale in cui trova spazio, inaspettatamente, anche un’evocativa armonica.

Il filo conduttore del disco è, soprattutto, il timbro espressivo e versatile di Hultén, capace di usare la sua voce come se fosse uno strumento aggiuntivo (in tal senso non si può non pensare a Tim Buckley), trattandola con effetti elettronici, distorcendola in modo che sembri che stia cantando da un'altra stanza, impilando tracce in modo da sembrare un coro di un solo uomo, oppure modulandola come il più melodrammatico crooner.

L'immaginazione non conosce limiti", canta Hultén nella spirale di chiusura "Starbather", un brano che apre le porte a una deriva progressive di matrice settantiana, confermando la varietà di un disco, il cui effetto sonoro cumulativo diventa, ascolto dopo scolto, sorprendente, brillante e di una bellezza talvolta inafferrabile, ma sempre necessaria.

Voto: 9

Genere: Folk, Elettronica, Ambient, Dark Wave 




 

Blackswan, lunedì 17/03/2025

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