lunedì 14 luglio 2025

Avkrvst - Waiving At The Sun (InsideOut, 2025)

 


Quando nel 2023 uscì The Approbation, esordio dei norvegesi Avkrvst (nome quasi impronunciabile, a meno che non si sostituisca una U alla seconda V), in molti, tra cui il sottoscritto, tessettero le lodi di questo quintetto fondato dagli amici d’infanzia Simon Bergseth e Martin Utby, abilissimi nel rigenerare il prog classico (King Crimson, Genesis) insufflandolo dell’energia prog metal derivante da band come Opeth e Dream Theater.

Quasi esattamente due anni dopo, la band torna con Waving At The Sky, un tentativo, riuscitissimo, di rivisitare e dare un seguito al successo del loro album di debutto.

Rispetto al suo splendido predecessore, questo nuovo lavoro ripropone la stessa formula vincente, spingendo però un po’ di più sull’aggressività dei suoni, senza tuttavia abbandonare il seducente impianto melodico ed evitando accuratamente ogni orpello virtuosistico. Se il concept di The Approbation era incentrato su un uomo isolato, solo in una baita, che perde lentamente la ragione, Waving At The Sky diventa tematicamente ancora più cupo, traendo ispirazione dagli eventi reali di un caso di abuso su minore avvenuto oltre un decennio prima, e perpetrato da due famiglie che vivevano vicino alla vittima (il volto sofferente in copertina spiega tutto).

La scaletta inizia con "Preceding", una dichiarazione d'intenti interamente strumentale che si muove attraverso gli ingranaggi che ci si aspetterebbe da un'ouverture di un concept album, mettendo in mostra le qualità principali della band. Un'apertura di synth slavati e un drumming feroce lasciano il passo a una linea di basso vigoroso e distorto e a un riff di chitarra ipnotico e glaciale di estrazione prog metal. La sezione centrale si apre a una melodia ariosa che profuma di Genesis, con le chitarre pulite e arpeggiate che creano spazio, mentre la linea di chitarra solista di Bergseth suona indulgentemente sulle note alte. Infine, la batteria martellante di Utby si combina con pesanti linee di chitarra in minore, inquietanti spoken word e sferzate d'organo. Un brano straordinario e di grande impatto.

L'impeto non rallenta conil singolo "The Trauma", che rimane su un binario strumentale che mi ha ricordato tanto i Mastodon, soprattutto per il tentacolare lavoro alla batteria a doppia cassa e i riff di chitarra ascendenti e armonicamente discordanti. Non manca, ovviamente, il consueto intermezzo melodico, che dà al brano un andamento altalenante, tra atmosfere minacciose e derive dolorosamente malinconiche. Un brano tecnicamente superbo e costruito con sapienza, soprattutto quando entrano le linee vocali, pulite e avvolgenti, nei momenti più morbidi, e in growl, quando nel finale la canzone si riaccende di ferale urgenza.

Il tema proposto dal concept emerge in "Families Are Forever", brano dal ritmo più lento (e in leggero controtempo) e immerso in una foschia sinistra, in cui chitarre e synth s’intrecciano, così come il cantato pulito e un luciferino growl. Anche "Conflating Memories" si muove più lentamente, le trame sono eteree, la voce pulita allunga le sillabe sull’impianto strumentale, in cui tra gli arpeggi armonizzati si insinua d’improvviso un flauto, che sembra essere preso in prestito dall’estro di Mel Collins (King Crimson).

Il primo singolo, "The Malevolent", deflagra come una bomba prog metal, pesante e veloce, trascinato da un memorabile riff di chitarra dai connotati orrorifici accentuato da spunti d'organo altrettanto inquietanti. Il brano vede la presenza di Ross Jennings degli Haken come ospite. Una mossa astuta, perché la sua estensione vocale eleva brillantemente la melodia del ritornello, davvero ben congegnata.  

Per quanto oscuro possa essere Waving At The Sky, quando gli Avkrvst sono in modalità riff cattivi, l’ascolto diventa elettrizzante, come avviene nella prima parte di "Ghosts Of Yesteryear", che sfiora il djent prima di immergersi in un’atmosfera bucolica e verdeggiante (anche qui ho trovato echi dei Genesis) per poi ricominciare a spingere sull’acceleratore.  

L'album si chiude con la title track lunga ben dodici minuti, un brano sinuoso e intriso delle plumbee atmosfere che prevalgono in scaletta. Si torna alle cupe sezioni di spoken word tratte dai notiziari contemporanei, il brano inizia morbido ma poi cresce e ringhia letteralmente quando il riff di chitarra si fa più aggressivo (anche il lavoro alle tastiere è memorabile), salvo poi spegnersi su una nota di ottimismo nelle battute finali.

Nonostante la cupezza del concept (scritto e registrato, come il loro debutto, in una baita isolata nella remota Alvdal, in Norvegia), Waving At The Sky è chiaramente il frutto della forza creativa della band, amici d'infanzia, entusiasti di creare lo stile musicale che amano e di suonarlo con straordinario trasporto. Manca forse l’elemento sorpresa dell’esordio, e l’impianto melodico che aveva fatto gridare al miracolo in The Approbation è qui meno marcato, favorendo un tiro più aggressivo. Ciò premesso, siamo comunque di fronte a un grande disco di progressive, che non inventa nulla di nuovo, ma maneggia la grande tradizione con freschezza, idee e un tocco di originalità.

Voto: 8

Genere: Prog Metal

 


 

 

Blackswan, lunedì 14/07/2025

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