Figlio di emigrati haitiani, Jowee Omicil
è cresciuto a Montreal e ha imparato a suonare il sassofono
partecipando alle messe del padre (era un ministro del culto), studiando
al prestigioso Berklee College of Music di Boston e trasferendosi a New
York dove diede il via alla sua carriera musicale. Il musicista
pluristrumentista, che ora vive a Parigi, pubblica il suo nuovo album Love Matters! su Jazz Village/ [PIAS] il 14 settembre.
Love Matters!
è una fusione di jazz, musica classica e pop, uniti insieme da un
musicista incredibile che trasuda entusiasmo sia dal punto di vista
musicale che da quello umano. , Il suo patrimonio viene qui rivisitato:
ritmi carnevaleschi, melodie classiche, sfumature di Thelonious Monk,
ritmi jamaicani, un po’ di funk alla Miles Davis, l’estasi del gospel e
naturalmente le espressioni tipiche di Omicil nello stile “BasH!”.
Prendendo il titolo da un ritmo martinicano, il nuovo brano “Mendé Lolo”, “è
suonato ad Haiti come Rara o ritmo carnevalesco. Assume nuovi connotati
se suonato da musicisti che provengono da tutto il mondo.” Omicil continua, “Senza alcun riferimento a lavori precedenti, questo brano è un tributo a Hugh Masekela.”
Girato a Conakry, la capitale della Guinea, sulla costa ovest dell’Africa, il video vede Jowee
avventurarsi nella città, incontrando i suoi abitanti giovani e anziani
e mostrando le sue abilità musicali. Prodotto da Omicil stesso, Hugo
Claveau e Frédérique Miguel, il video vede la partecipazione di
musicisti quali Papa Kouyaté, Balla Moussa, King Abdoulaye, Kona Khasu.
Poche
band sono più affidabili degli Horse Feathers, combo proveniente da
Portland, Oregon. In dodici anni, la ragione sociale capitanata dal
cantante e chitarrista Justin Ringle, ha rilasciato sei album, compreso
il precedente (che è anche il quinto con la Kill Rock Stars), uno più
bello dell’altro.
Una
coerenza qualitativa ancor più degna di nota, se si pensa che il gruppo
ha vissuto una carriera artistica in continuo mutamento, passando
attraverso importanti cambi di line up (prima quattro membri, poi undici
e, quindi, cinque), e plasmando nel tempo un suono che, da un’iniziale
ortodossia roots, è passato a qualcosa che si inserisce organicamente
all’interno della scena folk rock, avvicinando maggiormente gli Horse
Feathers ai Decemberists, per fare un nome noto, e allontanandoli
progressivamente dagli Avett Brothers, band con cui fin dagli esordi
avevano più di un punto di contatto.
Questo Appreciation
non smentisce i connotati di una band incapace di cristallizzare la
propria musica entro stilemi prevedibili e reiterati, tanto da apparire
solo parente alla lontana degli altrettanto buoni Thistled Spring(2010) o Cynic's New Year (2012).
Se i tratti distintivi della voce del frontman, Justin Ringle, e del
violino di Nathan Crockett, continuano a essere l’anello di congiunzione
fra passato e presente, questo nuovo lavoro si distingue, però, per un
ruolo più centrale della sezione ritmica, per i cori di Joslyn Hampton e
Chris Dennison che danno più ampio respiro alle composizioni, per i
drive pianistici che colorano alcuni passaggi del disco (Born In Love) e, soprattutto, per un retrogusto seventies che anima alcune delle più riuscite canzoni del lotto, come Without Applause e Best To Leave.
Non
è un caso che la copertina del disco, un primo piano non filtrato del
volto di Ringle, presumibilmente sul palco, con un riflettore dietro di
lui, evochi alcuni LP degli anni '70: il genere di copertina, la
buttiamo lì, che piaceva tanto a gente come Jim Croce, John Denver o
Eric Clapton.
Non
manca il consueto gusto per le melodie e quel suono che spesso fa
pensare a una band alle prese con una performance live e non invece
chiusa all’interno di una sala di registrazione. Il disco, tuttavia, è
davvero qualcosa di diverso da ciò che avevamo ascoltato prima, e
rappresenta un’ulteriore tappa in un percorso mai lineare, eppure
caratterizzato da un livello compositivo senza cedimenti. Tanto che, la
vera notizia, a questo punto, non è certo l’ennesima nuova formula
musicale, quanto il fatto che, per quanto cambino continuamente
registro, gli Horse Feathers continuino a non sbagliare un disco.
Neil Finn e Liam Finn hanno annunciato oggi il loro primo album insieme
"Lightsleeper" in uscita il 24 agosto su Inertia e [PIAS]. La
notizia arriva insieme al singolo "Back To Life", brano in cui potenti
melodie si uniscono a testi delicati evocando la magia che si crea quando le
persone si riuniscono per cantare e ricordare gli amici assenti: l'abilità
trionfante dell'amore di trascendere il nostro mondo fisico.
Quella
di Tori Forsyth è una storia recente, iniziata solo nell’inverno del
2015, quando questa giovanissima ragazza, nata e cresciuta nel New South
Wales, regione collocata sulla costa est dell’Australia, decide di
suonare per la prima volta in pubblico le proprie canzoni, nate per
musicare una raccolta di poesie, da lei stessa scritte, intitolate
Johnny & June e dedicate alle figure di Johnny Cash e June Carter.
Una
serata che le ha cambiato la vita, svoltasi davanti a poche dozzine di
persone in un locale di Gosford, dove un veterano della musica country,
quale Bill Chambers, organizzava regolarmente delle jam night.
Un’esperienza che la Forsyth ricorda con queste parole: “It was
probably the perfect place for me to sing my first original song in
public. It was really relaxed; everyone was supportive and there to hear
people’s original music, not just covers at the local pub.”
L’incontro
con Bill Chambers e con altri musicisti locali ha, poi, permesso a
Tori, verso la fine del 2015, di registrare nei Soundhole Studios di
Shane Nicholson, sotto la supervisione di Trent Crawford, il suo primo
Ep, intitolato Black Bird. E siccome Shane Nicholson, che è una
delle figura chiave del country australiano, si è innamorato della
musica della Forsyth, da lì a firmare con l’etichetta Lost Highway
Australia (la stessa etichetta di Nicholson) è stato un attimo.
Questa, per sommi capi, la genesi che portato alla pubblicazione di Dawn Of The Dark,
un full lenght che supera le più rosee aspettative, visto che siamo di
fronte a un’esordiente, e in cui la Forsyth dimostra già di avere,
nonostante la giovanissima età, un songwriting personale e ricco di
spunti interessanti. Se il disco si colloca in tutta evidenza in quel
genere che potremmo definire alt-country, le dodici canzoni in scaletta,
nelle quali si fa largo uso di strumenti tradizionali (violino, banjo,
lap steel, etc), evidenziano però la capacità di mischiare un po’ le
carte, con incursioni nel rock e nel pop.
Una
musica che, sebbene in qualche episodio suoni anche mainstream,
fortunatamente non scade mai in banalità e svenevolezze. Anzi. La
scaletta è percorsa da un mood amarissimo, da atmosfere cariche di ugge,
da paesaggi ombrosi e da ambientazioni al limite fra il crepuscolare e
il notturno.
Splendido il lavoro di Nicholson, qui in veste di produttore, sia nel creare equilibrio fra roots e melodie (l’iniziale Grave Robber’s Daughter), che nell’amplificare i languori malinconici (i saliscendi emotivi della conclusiva Kings Horses),
ottime le canzoni, plasmate da una scrittura qualitativamente ben sopra
la media, e soprattutto, eccellente la perfomance vocale della Forsyth,
che gioca con il suo timbro sensuale e imbronciato, usando la forza di
un’estensione impressionante, capace di prendere bassi e acuti con una
facilità disarmante (l’intro a cappella di War Zone è in tal senso esplicativa).
Un esordio coi fiocchi, dunque, nel quale si passa dal maledettismo da dark lady nell’inquietante Hell’s Lullaby (“I drank holy water but it rotted my teeth”), alle atmosfere bluesy, livide e disturbate di White Noise, al pop country del singolo In The Morning, in cui è evidente il richiamo ad atmosfere vicine a Lana Del Rey, fino a improvvise accelerazioni d’indole cow-punk (Redemption). Da tenere d’occhio.
I Body/Head, duo formato da Kim Gordon (CKM, Sonic Youth, Free Kitten, etc.) e dal chitarrista Bill Nace (X.O.4, Vampire Belt, Ceylon Mange, etc), annunciano l’uscita del loro secondo album in studio, "The Switch", il 13 luglio su Matador Records.
"L'alchimia creativa non si realizza soltanto in studio o nello
spazio della pratica; molta parte di esso è il prodotto del tempo che si
passa da soli sullo strumento, a imparare come si fondono il corpo, il
legno e l'elettronica, e dei processi subconsci che guidano la vita
quotidiana, prendendo spunto dal rumore d'ambiente del mondo esterno.
Per Kim Gordon e Bill Nace il tempo assieme è limitato alle esibizioni
dal vivo e alla registrazione, quindi devono tirare fuori tutta la loro
magia ad ogni incontro. Fortunatamente per noi, questi sono due rinomati
stregoni della sperimentazione.
Il loro album di debutto come Body/Head, Coming Apart del 2013, era soprattutto un disco rock – duro, emotivo, catartico, un incantesimo tra il nero e il grigio. The Switch
è il loro secondo album e il duo, questa volta, lavora su una tavolozza
più sottile, affinando idee e identità. Alcune parti sono state
abbozzate dal vivo, ma il più è accaduto sull’improvvisazione del
momento.” (Jes Skolnik, maggio 2018).