lunedì 13 agosto 2018

JESPER STEIN - AKRASH (Marsilio, 2018)

Axel Steen è in caduta libera. Il poliziotto che vive a Nørrebro, il quartiere più malfamato e mal frequentato di Copenaghen dove, con disprezzo, gli sbirri vengono chiamati akrash, sembra irrimediabilmente avviato sulla strada dell’autodistruzione.
È uno dei migliori investigatori della squadra omicidi della città, ma anche uno dei più discussi, a causa di una vita dedita all’abuso di alcol, droghe e sesso occasionale che lo avvicina agli ambienti della malavita più spesso di quanto i suoi superiori siano disposti a tollerare.
E ora, archiviato il caso Blackbird, la sua dipendenza dalle canne e dalle piste di coca ha tutta l’aria di essere fuori controllo. Neppure Emma, la sua bambina adorata, è più capace di farlo reagire. Quando Jens Jessen, ora suo capo, nonché nuovo compagno della sua ex moglie, viene a sapere che la mafia russa è riuscita a infiltrare un informatore nella polizia danese, Axel Steen, ovviamente, è tra i principali sospettati.
E mentre ai piani alti della polizia rancori e rivalità personali portano a uno scontro di potere che avvelena le indagini, la sua ex moglie assume in tribunale la difesa di Moussa, celebre capobanda di Nørrebro, accusato di essere il mandante di ben tre omicidi nell’ambiente del narcotraffico.

Jesper Stein è senza ombra di dubbio uno dei migliori interpreti di quel genere che va sotto il nome di thriller scandinavo, e arrivato al suo terzo romanzo, l’ennesimo con l’investigatore Axel Steel come protagonista, conferma ampiamente tutte le critiche positive ricevute nei suoi due precedenti lavori.
Akrash, termine dispregiativo con cui la malavita chiama i poliziotti, fonde elementi tratti dal legal thriller e dal più classico dei polizieschi, alternando al taglio psicologico dei personaggi, finalmente non abbandonati a caratterizzazioni frettolose e stereotipate, ma colti nel profondo del loro intimo, adrenalinici colpi di scena che rendono la lettura avvincente fino all’ultima pagina.
In una Copenaghen livida e violenta, in cui l’integrazione razziale è solo di facciata e l’eterna lotta fra bene e male è tratteggiata con contorni tutt’altro che manichei, Axel Steel è impegnato in una missione ai limiti dell’impossibile: incastrare un feroce spacciatore di droga e, soprattutto, trovare il riscatto di un’esistenza che sta andando sempre più alla deriva.
Se ci riuscirà, non anticipiamo nulla ovviamente, lo saprete solo arrivati alle ultime pagine del romanzo. Ma è il viaggio per giungere al palpitante finale che vale il prezzo del biglietto. Akrash è, infatti, un romanzo potente e vibrante, con trama e dialoghi impeccabili, il cui valore aggiunto, e forse predominante rispetto al pur solido intreccio narrativo, è una scrittura diretta e cruda, che si presenta però ricca di quelle sfumature che fanno di Stein un romanziere a tutto tondo.
Inutile dire che, fin dalle prime pagine, gli amanti del thriller scandivano troveranno più di un punto di contatto tra Jesper Stein e Jo Nesbo, e tra Harry Hole, protagonista di molte delle avventure uscite dalla penna di scrittore norvegese, e Axel Steel: entrambi rudi e al contempo fragili, entrambi perennemente in bilico fra condanna e redenzione, entrambi dotati di un senso per la giustizia primordiale ma ineludibile. Ai punti, grazie a questo nuovo Akrash, per il momento vince Stein. Per chi ama il genere una vera goduria.


Blackswan, lunedì 13/08/2018

domenica 12 agosto 2018

PREVIEW




Katie Cole, singer songwriter di origine australiana ma di stanza a Nashville, ha annunciato l’uscita di due Ep. Il primo, Things That Break Part 1, vedrà la luce il 28 settembre via Grown up Country music, mentre l’uscita del secondo è previsto per i primi mesi del 2019. Su SoundCloud potete trovare il primo singolo estratto dall’Ep, Time On My Hands, canzone che parla della possibilità di superare un momento di dolore facendo leva sulla pazienza, l’onestà e il coraggio. In attesa delle uscite discografiche, Katie si diverte a suonare il basso in tour con gli Smashing Pumpkins, di cui ha registrato una bella cover di Stand Inside Your Love.





Blackswan, domenica 12/08/2018 

sabato 11 agosto 2018

JILL BARBER - METAPHORA (Outside Music, 2018)

Il cambiamento è una delle prerogative di Jill Barber, musicista inquieta, difficilmente etichettabile e sempre alla ricerca di nuove modalità di espressione artistica. Il suo esordio, Note To Follow So (2002), infatti, attingeva a piene mani dal folk, mentre Chances (2008) e Mischievous Moon (2001), dischi accarezzati da delicato ed elegante romanticismo, attingevano ispirazione dal jazz e arricchivano la scrittura della Barber di riusciti arrangiamenti orchestrali. Nel 2013, con Chansons, l’ennesima sorpresa di un album interamente cantato in francese con la reinterpretazione di classici a firma Edith Piaf, Serge Gainsbourg e Raymond Levesque. Nel 2016, con The Family Album, scritto e prodotto in condominio con il fratello Matthew Barber, ennesima svolta artistica verso il country e il folk, attraverso un pugno di brani originali e di cover di grandi autori canadesi (Gene MacClellan, Ian Tyson e Neil Young), che è valso alla cantante un Juno Award come miglior Contemporary Roots album.  
Non stupisca, allora, che la singer songwriter originaria di Vancouver torni sulle scene con un nuovo full lenght che si muove per coordinate stilistiche diverse da quelle che caratterizzavano i precedenti lavori, e affronti, con la consueta disinvoltura, sonorità ispirate, questa volta, al pop contemporaneo.
Composto esclusivamente da brani originali, quattro co-firmati con l’amico Ryan Guldemond, Metaphora è un disco che, a dispetto delle sonorità più accessibili e commerciali, presenta una serie di liriche ispirate dalla politica e da riflessioni del ruolo della donna nel mondo. Il disco, però, non regge il confronto coi predecessori: è elegante, ben suonato, curato negli arrangiamenti, originale nell’uso delle percussioni, ma francamente risulta abbastanza appiattito su standard prevedibili e soluzioni che innescano immediatamente il meccanismo del deja vù.
L’iniziale The Woman, il cui testo introduce le tematiche dell’intero lavoro (She’s the woman/The darkness and the light), è un pop soul ombroso, caratterizzato da ritmiche quasi tribali, che ricorda da vicino Stompa di Serena Ryder e ammicca per stile ad Adele. Pop e R’n’B anche per la successiva Girl’s Gotts Do, brano dal mood intrigante ma decisamente prevedibile nello svolgimento. Ed è questo il leit motiv di un disco assai piacevole da ascoltare (come non perdersi nel fascino solare e sbarazzino della radiofonica Hooked Your Heart o nell’aggraziata Love Is, dalle fragranze profumate di gospel?) ma povero di idee originali e senza grandi colpi di coda. Ad eccenzion fatta per la splendida Mercy, ballata pianistica, in cui la Barber esibisce il suo particolare timbro vocale da gattina imbronciata col vizio del fumo e dimostra di possedere ancora la qualità di scrittura che da sempre gli riconosciamo.

VOTO: 6,5





Blackswan, sabato 11/08/2018

venerdì 10 agosto 2018

PREVIEW




A un anno dall’uscita dello splendido A Kind Revolution, Paul Weller torna con un nuovo album in studio. Il 14 settembre 2018, infatti, Il sessantenne rocker di Woking darà alle stampe, via Parlophone, True Meanings, quattordicesimo full lenght in carriera. Nel disco compaiono parecchi ospiti tra cui Noel Gallagher, Rod Argent degli Zombies, Martin Carthy, Danny Thompson, Little Barrie e Lucy Rose. Il disco è stato anticipato dal singolo Aspects.





Blackswan, venerdì 10/09/2018

giovedì 9 agosto 2018

THE JAYHAWKS - BACK ROADS AND ABANDONED MOTELS (Legacy Recordings, 2018)

Mark Olson se ne è andato e (forse) non ritorna più. Per quanto la speranza di un rientro alla base di una delle due anime che da sempre compongono i Jayhawks sia dura a morire, la sua assenza è ormai un dato di fatto acquisito, con cui, obtorto collo, i fan della prima ora sono costretti a convivere.
L’assenza di Olson si fa sentire, su questo non ci sono dubbi, e a volte anche fin troppo, se si pensa all’ultimo capitolo della discografia della band del Minnesota, quel Paging Mr. Proust di due anni fa, cioè, che aveva fatto storcere il naso a molti. Va detto che, da parte sua, Gary Louris, vale a dire il coniuge abbandonato, ha provato di tutto per tenere in vita uno dei nomi più importanti dell’alt country degli ultimi vent’anni.
Oggi, con questo Back Roads And Abandoned Motels, Louris torna sulle scene sotto l’egida Jayhawks, ma con una scaletta frutto prevalentemente della sua collaborazione nel tempo con altri artisti. Delle undici canzoni che compongono la scaletta dell’album, infatti, solo due sono state concepite appositamente per il disco (Carry You To Safety e Leaving Detroit), mentre le altre nove sono state scritte in tandem con le Dixie Chicks (Everybody Knows, Bitter End, e Come Cryin' to Me), Jackob Dylan (Gonna Be a Darkness), Scott Thomas (Need You Tonight), Carrie Rodriguez (El Dorado), Ari Hest (Bird Never Flies), Emerson Hart (Long Time Ago) e Wild Feathers (Backwards Women).
Inoltre, e questa è un’altra peculiarità, Louris cede il microfono per due canzoni alla tastierista Karen Grotberg (El Dorado e Come Cryin’ To Me) e per altre due al batterista Tim O’Reagan (Gonna Be a Darkness e Long Time Ago).
Strano a dirsi, allora, ma quello che poteva rivelarsi un pastrocchio di umori e stili diversi, suona invece molto più coeso del suo predecessore, e il tocco inimitabile di Louris, quel suo fascinoso gusto per melodie colorate e solari, domina come collante di un album, forse non memorabile, ma convincente e piacevolissimo. Alcuni brani, certo, suonano un po' stanchi e procedono con innestato il pilota automatico (Bitter End), ma in altre occasioni, e sono la maggioranza, si respira l’aria buona dei giorni migliori.
L’iniziale Come Cryin’ To Me (scritta per Mother, progetto solista di Natalie Maines datato 2013) è un delizioso r’n’b’ con arrangiamento di fiati e melodia che mandano al tappeto anche l’ascoltatore più esigente, Everybody Knows attraversa il confine che separa allegrezza e dolce malinconia, Gonna Be A Darkness aggiorna i rimpianti e le nostalgie della springsteeniana Bobby Jean, Backwards Women è un millesimato Jayhawks con sentori harrisoniani, mentre Need You Tonight si presenta al pubblico come una nipotina alla lontana di Helplessly Hoping dei CS&N.
Una vena ritrovata, dunque, quella di Louris, che quando fa il suo, pur replicandosi, trova quasi sempre l’ispirazione di un passato glorioso. Così, se con Paging Mr. Proust il rimpianto per l’assenza di Olson era un pungolo nel costato di tanti aficionados, con Back Roads And Abandoned Motels i Jayhawks dimostrano di avere ancora un futuro davanti e tante belle pagine di musica da scrivere e suonare. Se poi, Mark ci dovesse ripensare…

VOTO: 7





Blackswan, 09/08/2018