venerdì 27 marzo 2015
giovedì 26 marzo 2015
mercoledì 25 marzo 2015
SUFJAN STEVENS - CARRIE & LOWELL
Ho preso tempo, tutto il tempo necessario e forse
anche di più. Un pò come quando, assaggiando un vino vecchio e
strutturato, vuoi coglierne non solo il corpo e l'intensità, ma anche ogni sentore,
ogni minima sfumatura. Calma, lentezza, pazienza. Sufjan Stevens lo
richiede, lo richiede la sua arte, il suo modo di concepire la musica, che mai
nasce da un approccio semplice, accomodante, convenzionale. Stevens per
indole non è scontato nè univoco: ascoltarlo è una continua
avventura, presuppone sempre quella ragionevole avventatezza che
spinge il cammino di un esploratore, quando, passo dopo
passo, affronta l'ignoto, consapevole dei rischi che corre, ma risoluto
alla scoperta. E' quello che abbiamo provato ai tempi della grandeur di
Illinoise (2005) e del folle progetto di sovvertire ogni regola
discografica, immaginandosi la possibilità di pubblicare cinquanta album,
ognuno dedicato a un diverso stato americano; ed è quello che abbiamo provato,
ancor di più, quando ci siamo misurati con le bizzarrie indietronic di The Age
Of Adz (2010), un azzardo all'apparenza incomprensibile, eppure compiuto con
successo. Calma e lentezza è, dunque, quello che richiede anche la comprensione
di Carrie & Lowell, un disco che si pone come contrappunto frugale al
climax raggiunto dalla sovrabbondanza creativa di Stevens: tanto erano ricchi
di suoni e prosperosi di idee i precedenti capitoli della sua discografia,
quanto ora è scarna e minimalista l'impalcatura delle undici canzoni in
scaletta. Se prima l'idea era quella di ricerca e movimento, oggi Stevens punta
a un'affabulante stasi. Eppure, la bellezza di Carrie & Lowell non si
coglie immediatamente, occorre scartare con accuratezza la confezione per
gioire del regalo che cela. Undici ballate folk pop, coerentemente lo-fi,
indipendenti nell'accezione più nobile del termine, quella cioè che
richiama le atmosfere del Sundance Film Festival, fragili nell'impianto
strumentale ma al contempo fameliche di emozioni; undici canzoni
che nascondono la loro bellezza dietro un'omogeneità sonora ovattante, che
piano piano si sgretola, facendo emergere personalità melodiche ben
distinte fra loro. Come il tepore della primavera schiude la fredda terra in un
rinnovato afflato vitale, permettendo ai fiori di sbocciare, così il nostro
paziente ascolto disvela lo stordente susseguirsi di emozioni di
cui Carrie & Lowell è pregno. Sentimenti di afflizione,
tenerezza, affetto, rammarico e nostalgia sono illuminati da una luce
tenue ma persistente, come fossero acquarelli i cui colori
vengano esaltati da un tratto deciso, intento a contenere più che a
sfumare. Ispirato dalla morte della madre (Carrie), avvenuta nel 2012, e
dedicato al rapporto di amicizia col marito di lei nonchè suo padrino
(Lowell), Carrie & Lowell inanella alcune delle migliori canzoni scritte da
Sufjan nel corso della sua carriera, alcune così pure e cristalline da
farci dimenticare tutto ciò che è stato prima, come se l'artista di origini
persiane non avesse più un passato artistico, e fosse solo qui, ora, colto per
sempre nell'attimo. Death With Dignity, Should Have Know Better, Drawn To The
Blood, Fourth Of July, Blue Bucket Of Gold sono così clamorosamente belle da
lasciarci senza fiato, privati di relativizzazioni, in balia dell'assoluto: canzoni leggere
come foglie secche sospinte nel vuoto dal soffio del vento, frementi di vita
come ondivaghe spighe di grano al tatto della mano, incombenti come
un dolore risaputo e costante dell'anima. Emozioni pure, che trascendono
l'arte.
VOTO: 10
Blackswan, mercoledì 25/03/2015
martedì 24 marzo 2015
NEIL YOUNG WITH CRAZY HORSE - BORN TO ROCK - USA TOUR 1986
Gli anni '80 sono stati per Neil Young gli anni della
sperimentazione estrema e gli anni, diciamolo francamente, dei dischi di
merda. Iniziati discretamente, con un controverso album dai suoni molto tradizionali
e dagli accentuati contenuti politici (Hawks & Doves del 1980) e finiti
anche meglio con Freedom (1989), quello che da tutti i fans e dalla critica
viene considerato il disco della rinascita artistica. Ma in mezzo, tante,
troppe ciofeche. Un pugno di dischi che andavano a esplorare nuovi
orizzonti creativi, distanti anni luce da un suono diventato marchio di
fabbrica, e per il quale la Geffen, nuova casa discografica di Neil dopo
l'abbandono della Reprise, aveva investito un bel pò di quattrini. Ma Neil in
quel periodo non voleva sentire ragioni e faceva di testa sua: una libertà
creativa, questa, che lo porto a un contenzioso giudiziario proprio con la
Geffen, la cui dirigenza sosteneva che il chitarrista producesse
volontariamente musica non rappresentativa della propria arte, al solo scopo di
danneggiare la casa discografica. E ad ascoltare la produzione di quegli anni,
qualche dubbio viene. Un album mediocre, Re- Ac- Tor (1981), ultimo con la
Reprise, e poi tanti lavori ai limiti della iconoclastia di un mito: il
rockabilly di Everybody's Rockin' (1983), il soporifero country stile Nashville
di Old Ways (1984), le incomprensibili derive synth di Trans (1982) e Landing
On Water (1986). Ed è proprio al tour di quest'ultimo disco che
si riferiscono le registrazioni di Born To Rock, colte dal vivo dalla
Westwood One Fm, durante alcuni concerti americani del novembre di quell'anno.
Neil Young, che nel 1987 pubblicherà Life (ultimo disco per la Geffen
che peraltro segna il ritorno del pigmalione artistico coi Crazy Horse
(Sampedro, Talbot, Molina), si fa accompagnare in tour proprio dalla sua
storica band. Il risultato di questo live ricorda molta da vicino quello del
mitico Live Rust: una band potente e rumorosa che rockeggia senza compromessi
ai confini del grunge, un'oasi acustica con Neil alla chitarra, armonica
(Heart Of Gold, Sugar Mountain, The Needle & The Damage Done) e piano
(After The Gold Rush), la solita scaletta di grandi classici (Like A Hurricane,
My My Hey Hey, Down By The River, Cinnamon Girl, etc.) e alcune canzoni
tratte dal repertorio più recente (Computer Age, Violent Side, etc.). Il
packaging scarnissimo e privo di crediti relativi ai luoghi e alle date
dei singoli live, è compensato da un'ottima resa qualitativa delle
registrazioni, di gran lunga superiore a quella di un semplice bootleg. In
definitiva, Born To Rock è un'interessante fotografia su uno dei periodi meno
fortunati della carriera di Young (a ricordarcelo ci sono vaccate come Sample
And Hold), il quale, dal vivo, sapeva però mantenere (pressoché) intatta
la sua aura di leggendario rocker. Per super fans.
VOTO: 7
Blackswan, martedì 24/03/2015
lunedì 23 marzo 2015
IL MEGLIO DEL PEGGIO
Riceviamo dalla nostra freelance Cleopatra e
integralmente pubblichiamo
Che Lupetto, il promettente e rampante pargolo di
Maurizio Lupo de' Lupi, abbia ricevuto in dono un orologio o un vestito di
taglio sartoriale, poco ce ne cale. E se il paparino ministro si sia dato un
gran daffare per trovargli una "sistemazione", mal gliene
Incalza.
I figli, si sa, so' piezz ' e core e Maurizio Lupi non
fa eccezione. Che però si intrattengano relazioni pericolose con un soggetto
criminale, una sorta di "dominus" che per ben 7 governi ha fatto il
bello e il brutto tempo nonostante 14 indagini sulle spalle, questo è
vergognoso. L'ennesimo caso di insaputismo? Ci risiamo. Nessuno sa e se
qualcuno sapeva, non si sentiva tanto bene. Un virus, a quanto pare, contagioso
che miete vittime soprattutto tra i politici. Da destra a sinistra.
Ora, per quanto biasimevole e inopportuno sia ricevere
favori e regali munifici - specie se a beneficiarne è il congiunto di un
ministro della Repubblica - ciò che più ripugna, oltre alla inspiegabile
presenza di un personaggio scomodo come Ercole Incalza, è la sagra
dell'incoerenza e dell'ipocrisia patrocinata dalla Premiata Ditta Renzi &
C.
A scandalo scoppiato, il bischero Matteo smarcandosi
dall'ingombrante Lupi, avendo fiutato il pericolo di una macchia sulla propria
immagine e di un possibile calo nei consensi degli italiani, si arma di
baionetta sparando a zero contro chi lo accusa di doppiopesismo o di
rottamazione a corrente alternata.
"Lupi ha fatto una valutazione personale,
giusta e saggia secondo me. Peraltro non era nemmeno indagato" , puntualizza Matteone
in un'intervista. " Il caso De Luca? Ha vinto le primarie, ma la
modifica della Severino non è all'ordine del giorno...Non caccio gli
indagati". Morale della favola: Lupi va a casa per ragioni di
opportunità, mentre i vari sottosegretari (6, per l'esattezza) e il sindaco di
Salerno, Vincenzo De Luca, indagati a vario titolo, se ne stanno tranquilli e
poltronati. Chissenefrega se il curriculum delle Barracciu, dei Faraone, dei
Soru o dei Castiglione sia tanto sporco da non poterci nemmeno una dose
massiccia di candeggina.
L'Importante è confondere le acque, gettare fumo. Per
Renzi, la morale si usa disinvoltamente in base alla convenienza del momento,
come un vestito a seconda delle stagioni.
Scriveva Indro Montanelli nel '96: "Una delle
eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona
volontà è sgradita, la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci
continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla "cosa pubblica",
lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari
oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese". Parole
sante.
Vincenzo De Luca, candidato del Pd in
Regione Campania e condannato in primo grado per abuso d'ufficio: "Il
mio più grande leader spirituale indossa una veste bianca e dice parole limpide
all'umanità: è Papa Francesco".
Gianluca Buonanno (eurodeputato leghista),
al rientro dalla missione in Libia: "In Libia mi considerano un capo di
stato..."
Antonio Razzi: "Il mio
compaesano Rocco Siffredi ha avuto 5 mila donne, io mille, ma lui lo faceva per
lavoro, io per piacere. Una volta sono andato anche con tre donne
contemporaneamente..."
Matteo Renzi su D'Alema, che lo accusa
di gestione arrogante del partito: "Lui sembra una vecchia gloria del
wrestling".
Cleopatra, lunedì 23/03/2015
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