I Radiohead non sbagliano un colpo. Nemmeno quando,come in questo caso,ritornano sulle scene praticamente in silenzio, con un disco breve ma intenso, rilasciato prima sul web e poi tramite i consueti supporti ,senza un minimo di battage pubblicitario che non fosse il passa parola tra fans. Evidentemente gli squilli di tromba non si addicono al combo di Oxford, una delle poche band capaci di grande riscontro mediatico pur muovendosi al di fuori dalle ferree regole dello star system.Ciò che conta sono le idee, e quelle a Thom Yorke e soci non mancano mai.Se "In Rainbows" del 2007 era stato il lavoro in cui per la prima volta le canzoni scorrevano entro binari espressivi più convenzionali, "King of Limbs ", per converso, è la loro opera più difficile da assimilare. Solo otto canzoni, per una durata complessiva di 37 minuti, che si pongono a metà strada fra le alchimie elettroniche di "Amnesiac " e le audaci sperimentazioni di "Kid A ". Nasce così un disco dal sound minimalista e cupo,che solo dopo svariati ascolti svela la propria natura intimista. E' però un intimismo sotto traccia quello di King of Limbs, che viene alla luce assemblando i pezzi di un puzzle nascosto da una cortina algida e ipnotica di loop ed echi siderali di drum-machine. La voce di Yorke,sottile come mai,ci accompagna in un viaggio all'interno di una musica all'apparenza scarna,che improvvisamente e sinuosamente si apre ai consueti struggimenti malinconici.Tra schegge ritmiche fuori controllo,pause e ripartenze adrenaliniche,strumenti indecifrabili,derive dubstep e pulsazioni elettroniche,il cuore dell'opera sono infatti i dolcissimi incastri vocali e l'avvolgente lirismo di poche note di pianoforte e chitarra acustica.Come nella celestiale" Codex ",in cui gli archi si fondono alla voce calda di Yorke, e nella superba ballata finale "Separator ",che evapora,morbida e leggiadria,verso un cielo di stelle.
VOTO : 8
Blackswan, lunedì 11/04/2011
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