Torna la premiata ditta B&B (Badit e Blackswan) con un
racconto inedito per immagini e musica.
“When I was just a baby, my mama told me, son
Always be a good boy, don't ever play with guns / But I shot a man in
Reno, just to watch him die” (Quando ero solo
un bimbo mia mamma mi disse: figlio sii sempre un bravo ragazzo, non giocare
mai con le pistole / Ma uccisi un uomo a Reno solo per vederlo morire). Quello
citato è il verso più famoso di Folsom Prison Blues, canzone che uno
sconosciuto Johnny Cash scrisse agli inizi del 1950 e che registrò e portò al
successo solo successivamente, nel 1956, quando iniziò a incidere per la mitica
Sun Record di Sam Philips. Una canzone che, a dispetto del ritmo caracollante,
suona amara e malinconica perché racconta una storia di prigionia, di dolore e
rassegnazione. Protagonista del brano è un uomo imprigionato nel penitenziario
di Folsom. Se ne sta chiuso in cella da tempo immemore (Sono rimasto rinchiuso nella prigione di Folsom dove il tempo scorreva
interminabile) ad ascoltare il rumore del treno che passa vicino alla
prigione (Sento quel treno che arriva,
arriva da dietro la curva). Un rumore che è fonte di nostalgia, di
riflessioni sui propri errori e su una speranza di libertà che non arriverà mai
(Quando sento quel treno che avanza
piego la testa e piango).
Cash tinteggia in nero una storia di ordinaria
violenza, non vuole commuoverci, vuole solo raccontare i fatti, la solitudine
della prigionia, l’angoscia che si prova per un futuro già scritto che non
potrà essere emendato. E’ quel verso fulminante (e disturbante), citato
all’inizio, che ci impedisce ogni partecipazione alle sorti del prigioniero,
che non ha alcuna giustificazione per il reato che ha commesso, perché ha
sparato a un uomo “solo per vederlo morire “. Nessuna vera motivazione, dunque,
non una donna, del denaro, o una lite. Nulla che dia un senso alla morte. Solo
la violenza per il gusto della violenza. Non c’è solo un filo di luce che
illumini la scena : il sole è soltanto intuito (Non ho più veduto la luce del sole da talmente tanto tempo che nemmeno
io mi ricordo da quando), e nel buio rimbombano lo sferragliante passaggio
del treno e lividi pensieri di morte. Per tutto il testo, Cash non cerca mai la
strada della comprensione e del perdono, perché non vuole mitigare la tragicità
del racconto. Che anzi, prova a esasperare accennando una caustica querelle
sociale, in cui si pone l’accento sulla diseguaglianza fra ceti (la vita dei
ricchi è un treno in movimento, quella dei poveracci è una cella buia), sulla
lotta di classe e il rancore che ne deriva (Scommetto che ci sono persone ricche nelle sue fantastiche carrozze
risplendenti e probabilmente bevono caffè e fumano grossi sigari).
E’ un
Cash giovanissimo quello che scrive Folsom Prison Blues. Non gli sono ancora
piombati addosso le pressioni dello star system, la costante e deleteria
conflittualità col padre, le angosce di una vita sentimentale insoddisfacente
(che risolverà solo con il divorzio da Vivian e il matrimonio con June), i
problemi di dipendenza dalle anfetamine (da cui non si libererà mai
completamente) e i conseguenti problemi giudiziari (arrestato per possesso di
stupefacenti nel 1965, sfiorerà quella prigionia così amaramente descritta
nella canzone). Ma quando nel 1968 si reca alla Folsom Prison per tenere un
concerto da lui fortemente voluto, nonostante la resistenza della sua casa discografica,
quelle tragedie le ha vissute già tutte. Canta per i detenuti, ed è come se
cantasse per sè stesso. Conosce il dolore e conosce la tribolazione, conosce
esattamente il pane duro della condanna e della reclusione (per lui la
dipendenza dalla droga, per il suo pubblico il carcere).
Non è un caso quindi
che il concerto (da cui sarà tratto un leggendario disco dal vivo) preveda una
scaletta anomala rispetto al repertorio di Cash, che omette volutamente canzoni
famosissime ma lontane dalla realtà carceraria (I Walk The Line, Ring Of Fire),
per proporre un repertorio “condiviso”, tra cui spiccano Send A Picture Of
Mother (l’angoscia della prigionia), 25 Minutes To Go (il patibolo che attende)
e la ballata disperata di I Still Miss Someone. Ed è altrettanto ovvio che The
Man In Black apra il concerto eseguendo Folsom Prison Blues, così da restituire
la canzone, qui in una versione memorabile, ai legittimi proprietari.
BADIT & BLACKSWAN, domenica 12/05/2013
15 commenti:
Bellissimo Black!Grande!
Mi piace questo modo di "fare musica", per parole ed immagini.
Non so perché ma mi ricorda il Jazz.
Grandi entrambi :)
Mist
Bellissimo! Tra l'altro un modo di raccontare la musica che ben s'accorda con lo stile narrativo di Cash.
La prossima volta voglio Cocaine Blues!! (o I got stripes)
Bravi.
una miscela straordinaria...musica e fumetti!!!
Ottima idea!I disegni sono uno piu' bello dell'altro sia a colori che nella drammatica versione in bianco e nero.
bellissimo! complimenti! mi piace questo modo di trasmettere e raccontare la musica, attraverso l'approfondimento delle parole e dei fumetti. Bravi!
Mi ha colpito molto "Cash tinteggia in nero una storia di ordinaria violenza, non vuole commuoverci, vuole solo raccontare i fatti..."...molto vero, anche se il più delle volte quando lo ascolto mi attanaglia i sensi...vabbè :)
Uno dei più bei post che abbia letto, con un Badit stratosferico!
Grande Cash, grande pezzo e grande storia.
Una di quelle canzoni che non mi
stanco mai di ascoltare. Da isola
deserta, per usare una metafora abusata.
Stesso ragionamento per gli LP live da San Quintino e Folsom: dischi che,
grazie al contributo del "pubblico"
(provate a sentire come i
galeotti "sostengano" pezzi come A boy named Sue o Cocaine blues),
hanno elevato le murder
songs di Cash ad un livello superiore.
Tornando a Folsom Prison Blues,
mi sovviene anche una curiosità:
tempo fa lessi la classifica dei
100 dischi del secolo secondo
Vibes, bibbia della black music
americana. Ebbene, nonostante il
diverso campo da gioco musicale,
i redattori
del giornale inclusero proprio
Folsom Prison Blues tra gli imperdibili del 900, reputando il pezzo una sorta di precursore
del movimento gangsta rap (per il tema del pezzo e per i
versi "i shot a man in Reno/Just to
watch him die").
Altro che 50cent...
:D
Complimenti per il post
@ Badit : :))
@ The Mist : grazie di cuore.
@ Evil : Cocaine Blues l'ho ascoltata proprio stamattina! Con Cash non si sbaglia mai...
@ Cirano : Il massimo,direi :)
@ Mr. Hyde : Badit non sbaglia un colpo ! :)
@ Sole : non dirlo a me. Soprattutto l'ultimo Cash mi fa venire i brividi e il groppo in gola.
@ Nella : Grazie ! Badit è davvero bravissimo ! .)
@ Mr James Ford : Cash è unico e inimitabile. Certe storie con lui vengono davvero facili.
@ Monty : e pensare che ho letto da qualche parte, non ricordo dove, che gli schiamazzi dei detenuti sono stati aggiunti dopo. Durante il concerto,infatti,mantenevano il più rigoroso silenzio perchè temevano di essere portati via.
Il parallelo fra Cash e il gangsta rap è davvero suggestivo e anche molto plausibile :)
E' vero, l'ordine era di mantenere la calma,
e infatti si sente chiaramente più
volte lo speaker richiamare in cella
alcuni detenuti, evidentemente
considerati troppo scalmanati.
Ma è davvero improbabile che le voci siano state
sovrincise, vista la perfetta
sincronia dell'interazione
che c'è tra cash e il pubblico.
In The long black veil johnny risponde scherzando
al pubblico e in A boy named sue
la gente ride alla fine delle strofe
più divertenti del pezzo.
Ecco, mi avete fatto venire voglia di riascoltarlo...
:)
@ Monty : è tutta la giornata che lo ascolto,alternandolo a Solitary Man, un altro disco che adoro. Grazie Dio per averci regalato The man in Black :)
Straordinario Cash e intenso il tuo racconto. Mi permetto solo di aggiungere che Cash ha avuto momenti di poetica sul serio controcorrente rispetto alla mentalità ipocrita e reazionaria della maggior parte dei nord-americani e che Badit ha accompagnato al meglio il tuo discorso.
bravissimi...che altro aggiungere :)
fantastica storia accompagnata da altrettanti fantastici disegni... direi che siete una coppia da urlo! ;)
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