Partiamo dalla fine,
da Marshal Dear, una livida murder ballad che fa pensare al Nick Cave più
riflessivo e notturno. Se si partisse da qui, si potrebbe anche pensare che
Silence Yourself sia un disco di languori crepuscolari, di
struggenti malinconie in bianco e nero. Invece, Marshal Dear è una sorta di
catarsi, quasi una liberazione o la fine di un viaggio spinto ai limiti della velocità, la chiosa
inaspettata di un album urgente, rumoroso, graffiante. Il progetto
Savages nasce a Londra dal connubio esplosivo fra quattro riot
grrrls infatuate di post punk : la francese Camille Berthomier, aka
Jehnny Beth, alla voce, Gemma Thompson alla chitarra, Ayse Hassan al basso
e Fay Milton alla batteria. I riferimenti musicali di queste quattro ragazze
sono chiarissimi, chiamano in causa i primi anni '80 ed evocano alla memoria il
nome di gruppi come Joy Division, Bauhaus e The Sound. Fin qui nulla di
nuovo, dal momento che il post punk revival ha già prodotto schiere di
eccellenti interpreti, che hanno raggiunto peraltro un notevole successo
commerciale (penso agli Editors e agli Interpol, in primis). Tuttavia, quello
delle Savages è proprio un altro pianeta. Silence Yourself è infatti un
convulso e violento assalto all'arma bianca, un'aggressione musicale
che colpisce per ferire e uccidere. Non si fanno prigionieri,
insomma. Tolta la citata Marshal Dear, non c'è infatti un attimo di tregua
al furore, nessun compromesso, nessun tentativo di cercare una melodia che possa
mitigare il tormento di canzoni risucchiate nel gorgo
profondo della notte. In un mondo di suoni furbetti e patinati, le Savages
hanno la forza iconoclasta di un anticristo che sputa sulla croce, sono
scorbutiche, maleducate, vanno controcorrente e quando rallentano il passo
è solo per seminare abrasive scorie noise (la struggente Waiting For A Sign).
I riff claustrofobici della Thompson e gli accenti presbiteriani di
una sezione ritmica che alterna cadenze marziali a slanci selvaggi,
tessono infatti una scabra trama di distorsioni su cui si muove la
voce umorale della Beth. Che non è, ve ne renderete conto subito, una cantante
qualsiasi, bensì una sorta di zelig gotico, capace di alternare un distonico baritono curtisiano alla irrequietezza metrica della Patti
Smith più punk. Il disco si apre con Shut Up ed è come precipitare in un varco
spazio-temporale, finendo fra le note di In The Flat Field dei
Bauhaus (e sfido chiunque a non riconoscervi un gemellagggio eterozigote con Dark Entries) . Eppure, le distorsioni incalzanti del basso della Hassan e la
chitarra martellante della Thompson non sembrano reperti di
antiquariato, bensì le propaggini sanguigne di un suono quanto
mai vitale. Tutto già sentito, ma tutto clamorosamente all'avanguardia. Se
questo disco è sulla bocca di tutti già da qualche mese (ed è uscito il 6 maggio), un motivo ci sarà.
Per scoprirlo, fate silenzio e ascoltate.
VOTO : 7,5
Blackswan, giovedì 16/05/2013
8 commenti:
Questo album domani sarà mio!
Io le adoro sono strepitose inarrivabili magniFICHE
FG
L'accostamento con Patti Smith è in effetti molto azzeccato.Penso che me lo procurerò.
Lasciami, in questa occasione, ribadire soltanto la mia ammirazione per la tua incalzante scrittura!
su questo disco siamo sorprendentemente d'accordo.
e questo fatto un po' mi inquieta ahah :)
@ Mist . ben fatto !
@ FG : le sto adorando anche io :)
@ Euterpe : diciamo che è il cantato che talvolta fa pensare alla grande Patty. Il disco è molto dark.
@ Ernest : :)))
@ Adriano : sempre troppo gentile :)
@ Marco : effettivamente...anche perchè non ricordavo che tu ascoltassi musica rock :))
la ascolto, quando c'è qualcuno che ancora la fa in maniera decente...
cioè 2 o 3 gruppi circa, oggi come oggi.
@ Marco :Sei un pò eccessivo. Gente che suona bene in giro se ne trova.Poi, se a te non piacciono certi suoni e preferisci la musica untz untz, non puoi farmene una colpa :)
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