domenica 3 novembre 2013

DISCOGRAFIE : BIG COUNTRY







Genere : Celtic Rock, Folk Rock
Periodo D’Attività : 1981 – 2000 / 2010 –In Attività

All’inizio degli anni ’80 echeggia nel nord della Gran Bretagna un nuovo suono che qualcuno si affretta a chiamare combat rock. A elaborarlo sono band giovani e arrabbiate, che nella scia del post punk, fondono rock, tradizioni celtiche e testi che affrontano tematiche sociali e politiche. I primi U2, gli irlandesi Aslan, i gallesi Alarm e soprattutto gli scozzesi Big Country sono le avanguardie più significative del movimento.
I Big Country nascono nel 1981 a Dunfermline, in Scozia, dall’incontro fra Stuart Adamson (chitarra, voce), ex leader degli Skids, e Bruce Watson (chitarra), a cui si aggiungono poco dopo due abili sessionisti : Tony Butler (basso) e Mark Brzezicki (batteria). Nessuno dei quattro è nato in Scozia (Watson non è neppure anglosassone, essendo originario del Canada), ma hanno nel cuore il paese delle Highlands e ne conoscono molto bene la cultura. Nasce così l’idea di un rock fortemente contaminato dalla musica celtica, anche se a differenza di altri gruppi che recuperano strumenti tradizionali (come i Pogues e i Waterboys, ad esempio), i Big Country utilizzano le chitarre elettriche per riprodurre il suono di violini e cornamuse. Ne nasce un impasto musicale originale e inconfondibile, che inizialmente ripaga la band con ottime critiche e un notevole ritorno commerciale, ma che col passare del tempo costituirà un rilevante limite artistico alla creatività del gruppo, che porterà Adamson negli anni '90 a tentare un' “americanizzazione “ del suono.





Il 24 settembre del 1982 esce, per la Ensign Records (Boomtown Rats, Thin Lizzy) Harvest Home, il primo singolo dei Big Country che arriva solamente al novanunesimo posto delle classifiche inglesi, ma permette al gruppo di  farsi notare e di andare in tour con i The Jam di Paul Weller. A febbraio del 1983, il secondo singolo, Fields Of Fire, entra nella top ten britannica e vende benissimo anche negli Stati Uniti. E’ solo il preambolo dell’imminente successo che arriva nell’estate dello stesso anno con l’uscita di The Crossing (1983, Voto : 9), prodotto dal mago della consolle, Steve Lillywhite, che collabora con grandissimi (sua la produzione di Peter Gabriel 3) e porta al successo gli sconosciuti U2 (Boy, October, War). L’album vende benissimo ovunque, merito di un suono aggressivo e corposo in cui le chitarre/cornamuse la fanno da padrone. Musica per highlander, le canzoni di The Crossing sono veraci, sanguigne, mostrano tutto l’orgoglio dell’identità scozzese anche in chiave antibritannica. Non c’è un solo momento di stanca in tutto il disco che inanella epiche ballate ( la struggente Chance, momento chiave di ogni performance live dei BC, e The Storm) e ruggenti cavalcate (In The Big Country, Fields Of Fire, Inwards). Siccome è buona norma battere il ferro finchè è caldo, a sorpresa, qualche mese dopo, Adamson & Co. escono con Wonderland (1984, Voto : 7), Ep di sei canzoni che non si discosta di molto dal lavoro precedente. Vende bene in Inghilterra, ma è un flop negli Stati Uniti, nonostante contenga la title track, che sarà una delle canzoni più amate dai fans della band. Il meglio tuttavia deve ancora arrivare.

Non è più la terra delle meraviglie, non è più l’orgoglio di vivere in “un grande paese “, ma la cruda realtà di Steeltown (1984, Voto : 10), in cui i Big Country raccontano un’altra storia, fatta di minatori e di operai, di povertà, di sfruttamento, di sogni infranti, di dominio inglese, politiche thatcheriane e guerra. Intenso, doloroso, crudo, Steeltown fila come un treno in corso versa il baratro in cui la Gran Bretagna è destinata ad affondare. Non c’è un attimo di sosta, se si esclude il virile canto d’amore di Girl With Grey Eyes. Steve Lillywhite, ancora alla consolle, scolpisce un disco dal suono compatto e potentissimo, eppure al contempo disperatamente nostalgico, in cui centrale è l’epica della sconfitta e il dolore della perdita. Where the Rose Is Sown e Come Back To Me, l’una il naturale prosieguo dell’altra, parlano di guerra e di giovani mandati al macello (If I die and still come home/Lay me where the rose is sown/Sons of men who stand like gods/We give life to feed the causeAnd run to ground our heathen foe/Our name will never die/This time will be foreve- da Where The rose Is Sown), la ritmica quadrata di Steeltown racconta la fatica del lavoro e East Of Eden la speranza disillusa della fuga verso un paradiso che non esiste. La grande Scozia ritorna nella danza celtica di Rain Dance, mentre l’album si chiude con la leggendaria Just A Shadow in cui le chitarre di Adamson e Watson si intrecciano in un adrenalico solo finale che incide la carne come una lama arroventata. 




Ormai i Big Country sono un nome da rispettare, hanno fama e ritorno commerciale, e li cercano tutti, dai Queen a Roger Daltrey, per aprire i propri concerti. Ma come spesso succede, la gloria riempie la pancia e imborghesisce gli animi. The Seer (1986, Voto : 6,5) presenta un suono più morbido e radiofonico e una band che pare aver smarrito l’ispirazione degli esordi. Il disco vende molto bene, grazie a un singolo bomba come Look Away e al contributo di Kate Bush, che duetta con Adamson nel folk rock della title track. Eppure, non c’è una sola impennata creativa e la scaletta mostra segni di una stanchezza compositiva che saranno confermati anche dal successivo Peace In Our Time (1988, Voto : 5,5), album che vende bene in Inghilterra ma è sostanzialmente un fiasco negli Usa. Il gruppo è ormai allo sbando e quando esce No Place Like Home (1991, Voto: 5), si capisce che siamo alle battute finali : l’ondata grunge che infiamma il mondo mostra tutti i limiti di una formula ormai frusta e anacronistica. The Buffalo Skinners (1988, voto : 6) è una boccata d’ossigeno commerciale per il gruppo, che adesso suona decisamente più rock (ma radio friendly) e riesce a piazzare un paio singoli in classifica, Ships (ripescata dal disco precedente) e Alone. Stuart Adamson, sempre più oppresso da problemi di depressione e alcolismo, si trasferisce a Nashville, dove cerca di superare il dolore per il divorzio dalla prima moglie. 






Esce Why The Long Face (1995, Voto : 5) e non se ne accorge quasi nessuno. Poi, nel 1999, un ultimo colpo di coda con Driving To Damascus (1999, Voto : 6,5 ), disco dal suono molto americano (negli USA esce con un diversa copertina e con il titolo John Wayne’s Dream) e decisamente lontanissimo dalle sonorità celtiche degli esordi. 
All’album contribuisce Ray Davies (Kinks), scrivendo insieme a Adamson due belle canzoni, Somebody Else e Devil In The Eye. I Big Country si sciolgono, ma prima di separarsi,  partono per un tour d’addio da cui viene tratto un ottimo live dal titolo Come Up Screaming (2000, Voto : 7,5). Stuart Adamson sempre più in preda ai suoi incubi alcolici annuncia il ritiro dalle scene e sparisce nel nulla. Il 16 dicembre del 2001, viene ritrovato morto in una stanza d’albergo della catena Best Western a Honolulu, Hawaii. Si è impiccato a un calorifero, a soli 43 anni. Oggi i Big Country sono tornati sulle scene con un nuovo disco, The Journey (2013, Voto : 5,5). Alla voce, il posto di Adamson è stato preso da Mike Peters degli Alarm, e Tony Butler, uscito definitivamente dal gruppo dopo una reunion del 2007, è stato sostiutito da Derek Forbes, bassista dei Simple Minds. Operazione nostalgia che lascia il tempo che trova.


DISCOGRAFIA ESSENZIALE :

THE CROSSING (1983)
STEELTOWN (1984) 





Blackswan, domenica 03/11/2013

7 commenti:

Nella Crosiglia ha detto...

Mi piacevano un sacco... grandi ricordi!
Grazie grande Black ..come sempre!!!!::::))))

monty ha detto...

Che tuffo al cuore buddy, grazie
infinite!
Condivido i voti agli album, magari
sei stato un pelino basso su The Seer (io gli avrei dato un 7/7,5)
ma in compenso, a differenza di ciò
che pensa la critica, siamo d'accordo
a preferire di misura Steeltown
rispetto a The Crossing.

Disco Boomer ha detto...

Ricordo "The Crossing", e di quello che si diceva allora: "con i Big Country ritorna il grande rock". Bel gruppo, personalmente preferivo The Jam, ma erano un bel sentire anche loro. Triste davvero la fine di Adamson.

Anonimo ha detto...

"la... la laaa.. so where were you when my ship went down, where were you when I ran aground..."
Ma bella. Ciaooo

Ezzelino da Romano ha detto...

Come back to me, days are all too long...
Hai ragione, la loro fiamma è bruciata tutto sommato in fretta ma hanno lasciato un grande segno.
Steeltown disco eccelso.
Ciao bro.

Blackswan ha detto...

@ Nella : Grande gruppo, non c'è che dire !

@ Monty : Steeltown è meno spontaneo di the Crossing, ma decisamente più teso. per me, il loro vertice assoluto.

@ Harmonica : grandi anche i The Jam, anche se davvero di tutt'altro genere. E poi, il grande Paul Weller...

@ Alla Base : come sei canterino !! :))

@ Ezzelino : Steeltown è stato uno dei dischi più belli degli anni '80. E quel tripudio di chiatarre nel decennio della plastica...

Unknown ha detto...

Condivido sostanzialmente i voti assegnati
Steeltown un grandissimo capolavoro, ma in assoluto!
The Crossing un attimino più acerbo ma sicuramente al secondo posto.
Ho sempre preferito la coerenza dei BC alla svolta commerciale e senza anima degli U2