sabato 22 febbraio 2014

TINARIWEN – EMMAAR



La meraviglia è continuare a trovare nei negozi, con (ormai) consolidata continuità, dischi come Emmaar. Il settimo lavoro dei Tinariwen dimostra infatti che anche nel nostro paese c’è uno zoccolo duro di ascoltatori che sanno guardare ben al di là delle convenzioni di una musica rock, incapace da tempo di veri scatti di originalità. Se già l’anno scorso avevamo gioito per un discone davvero di livello come Chatma dei connazionali Tamikrest (il disco di Bombino prodotto da Dan Auerbach invece ci aveva lasciati un pò più tiepidi), quest’anno è altrettanto bello inserire nel lettore un album che, come Emmaar, declina con il consueto livello d’ispirazione quelle sonorità desertiche che sono il marchio di fabbrica della band maliana. La tribolazione dell’esilio, però, questa volta ha portato i Tinariwen a misurarsi con il deserto californiano del Mojave, quello del Joshua Tree, per intenderci. Nuove coordinate, dunque, per un disco che se da un lato mantiene una coerenza stilistica granitica, dall’altro si arricchisce però di piccoli nuovi elementi, tutti decisivi. In primo luogo, la presenza di musicisti americani (Josh Klinghoffer dei Red Hot Chili Peppers, Matt Sweeney dei Chavez, il rapper Saul Williams e il multistrumentista Fats Kaplin) , grazie ai quali gli elementi di reciproca contaminazione raggiungono un perfetto punto di fusione.  E in secondo luogo, e a mio avviso questo è il segno distintivo più peculiare, le undici canzoni in scaletta sono figlie di una produzione e di arrangiamenti più riflessivi, che trattengono l’impetuoso fluire della musica del gruppo in favore di un mood più cupo e malinconico. Manca, insomma, quel brio che aveva connotato i lavori precedenti e che stemperava in qualche modo il messaggio di dolore (la guerra, l’esilio, la barbarie, il costante pensiero della morte) che in Emmaar risulta invece dominante. Non un disco di facile lettura (se non siete in sintonia con il genere musicale è un’autentica scalata a piedi nudi), che, tuttavia, cresce, ascolto dopo ascolto, per rivelare autentiche gemme come l’iniziale Toumast Tincha e l’andamento possente della superba Koud Edhaz Emin. 

Voto: 7





Blackswan, sabato 22/02/2014

4 commenti:

Nella Crosiglia ha detto...

Da sentire e risentire..
Non li conoscevo proprio..
Grazie Blacky!+++++

mr.Hyde ha detto...

La loro musica è quella che ascolto più volentieri e senza mai stancarmi, negli ultimi anni.Interessante e suggestivo l'incontro tra il blues che viene dal deserto africano e quello proveniente dal deserto californiano.Il blues che gira il mondo nello spazio e negli anni e si ri-incontra con sè stesso dopo essersi arricchito di altre meravigliose tristezze musicali..

Silvano Bottaro ha detto...

@Nella nellina: Ahi! ahi! ahi!

@Black: ""... Manca quel brio che aveva connotato i lavori precedenti." Concordo!

Unknown ha detto...

Adoro questa musica!
Cristiana