Californiani, in circolazione dal 2008, già tre album
all'attivo, i Rival Sons sono oggi una delle realtà più interessanti della
scena hard rock a stelle e strisce. Una carriera percorsa velocemente, tra
apprezzamenti della critica e una miriade di concerti, in giro per il mondo, ad
aprire i live acts di gente del calibro di Ac/Dc e Alice Cooper. Poi, il
successo commerciale con il bellissimo Head Down del 2012, album pluripremiato
dalle riviste specializzate e da un tour interamente
sold-out. Un'occhiata alla copertina di questo nuovo Great Western
Valkyrie e si capisce fin da subito che Jay Buchanan (cantante e
frontman) e soci hanno rivolto la propria attenzione al passato. Basta
poi un rapido ascolto dell'album, per avere conferma di quanto si poteva
sospettare dalla cover: gli anni '70 imperversano, dalla prima all'ultima nota.
Solo che i punti di riferimento, nonostante i nostri siano anericani puro
sangue, si trovano tutti in terra d'Albione. Led Zeppelin e Cream,
soprattutto. Tanto che l'impressione che suscita l'ascolto dei dieci brani che
compongono la scaletta di Great Western Valkyrie è che i Rival Sons, prima
di registrare il disco, si siano chiusi in casa per un mese ad
ascoltare Wheels Of Fire e Led Zeppelin IV. Continuamente e in loop. Hard rock,
rock blues e rock psichedelico sono il piatto del giorno: pietanze dal sapore
antico ma cucinate a puntino da un gruppo di ragazzi che sa
amalgamare alla perfezione gli ingredienti. Riff grassi e potenti, la
voce graffiante e plantiana di Buchanan, ballatoni elettrici da far palpitare i
cuori di chi è rimasto immobile nel tempo ai favolosi seventies (da
segnalare i sei minuti abbondanti di Where I've Been), e un gusto per la
melodia che sa tirare fuori il meglio anche da brani altrimenti indirizzati
verso i lidi dell'ovvietà. Electric Man, primo singolo estratto dall'album, è
un hard blues adrenalinico che potrebbe tranquillamente uscire da uno
degli ultimi dischi di Jack White; Good Luck, Good Things e Rich And The
Poor saggiano quei territori più psichedelici che già avevano frequentato,
sul finire degli anni '60 Clapton, Baker e Bruce; Secret e Play The Fool (vi
ricorda qualcosa Misty Mountain Hop?) sono zeppeliniane al midollo e mentre le
ascolti aspetti che da un momento all'altro compaia il fantasma di Bonzo a
darti l'eterna benedizione. Dieci canzoni dieci, per una tirata di quasi
cinquanta minuti, che si fanno letteralmente divorare e che ci
restituiscono il piacere di ascoltare un disco fottutamente rock, inteso nell’accezione
più nobile del termine: potente, sanguigno e senza compromessi.
VOTO: 7
Blackswan, mercoledì 25/06/2014
1 commento:
A me questi qui piacciono un casino.
Ma proprio di brutto.
Strade polverose e palle di rovi che rotolano spinte dal vento.
Grandi.
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