In un mondo dove i punti
di riferimento sono bruciati in un attimo da un’ ipervelocità tecnologica e fagocitante,
Tom Petty & The Heartbreakers rappresentano ancora, nonostante tutto, una
certezza. Certezza di solidità, di affidabilità, di rispetto filologico di un
suono, di capacità di riprodurlo, sempre, con entusiasmo ed energia. Con
risultati, peraltro, mai deludenti, anzi spesso esaltanti: se ripercorro la
discografia di Tom Petty, in solitaria o con la band, non mi torna in mente un
solo disco che non meriti almeno la sufficienza (a differenza di altri mostri
sacri, per tutti mi viene in mente Springsteen, che col tempo mostrano, inevitabilmente,
qualche segno di affaticamento). Quando poi, come nel caso specifico, il tono
muscolare è alto e l’ispirazione è in fase crescente, il risultato finale non
può che essere eccellente. Hypnotic Eye esce a distanza di ben quattro anni dal
suo predecessore Mojo, e a differenza di quest’ultimo disco, che guardava al
rockblues e agli anni ’70, il nuovo lavoro di Petty è un album che torna alle
origini garage, a un suono sixteen (Fault Lines), nervoso ed elettrico, che
agli aficionados del chitarrista di Gainesville ricorderà quello di Echo,
grande prova datata 1999. Undici canzoni di solido (e tradizionale) rock ‘n’
roll compongono un affresco chitarristico in cui Tom Petty e Mike Campell
(grandissima prova di quest’ultimo) ci fanno ascoltare tutto, ma proprio tutto,
quello che è possibile realizzare con una sei corde. La scaletta parte a cento
all’ora con American Dream Plan B, in cui è subito chiara la risolutezza e la
voglia di rock della band. Eppure, nonostante l’impatto muscolare di questo
brano e di molti altri che seguiranno, occorre evitare di soffermarsi al primo
piano di lettura, ma concedere invece al disco un ascolto più attento e approfondito:
solo così sarà possibile cogliere tutti i ceselli tecnici di una band davvero
in stato di grazia e accorgersi che, dietro a tante chitarre, Petty coglie
sempre l’attimo giusto per la svolta melodica che non t’aspetti (l’interplay
fra acustica ed elettrica nella citata American Dream Plan B, il ritornello che
spunta improvviso nel groviglio di chitarre di All You Can Carry). Due ballate
sornione per allentare la tensione (Full Grown Boy e Sins Of My Mouth) e tanta,
tanta sostanza per un disco rock d’impatto, senza fronzoli e urgente, in cui
rivive la tradizione di una vecchia scuola che riesce ancora oggi a graffiare. Non
siamo ai livelli di Damn The Torpedos o di Full Moon Fever, mancano un’
American Girl o una Refugee, ma con Hypnotic Eye Tom Petty torna a regalarci
quei brividi di fremente gioventù (la sua, la nostra) che è ancora (troppo)
presto relegare nel cassetto dei ricordi. Vigoroso e sincero.
VOTO: 7,5
Blackswan, sabato 16/08/2014
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