Se sei l’autore di un disco
come Mescalito, ti piaccia o no, hai delle precise responsabilità verso il tuo
pubblico. Il quale, cosa che succede anche al sottoscritto, si aspetterà sempre
un livello compositivo della stessa qualità di quel folgorante esordio datato
2008 (che poi, in realtà, di esordio non si tratta perché prima di Mescalito ci
sono anche tre album autoprodotti). Per quanto riguarda Ryan Bingham, quelle
aspettative alte sono quasi sempre state rispettate; anzi, The Weary Kind,
inserita nella colonna sonora di Crazy Heart, ha giustificato, per chi scrive,
una concessione di credito nei confronti del songwiter texano, pressoché
illimitata (canzone perfetta per un film favoloso). Senonché, la sua ultima fatica, datata 2012 e intitolata
Tomorrowland, ci aveva restituito un autore un po’ spompato, incapace di
rischiare veramente e fermo a clichè ben oliati, in una replica un po’ consunta
di se stesso. Illuminato a tratti da ottime canzoni (Heart Of Rhythm, No Help
From God), Tomorrowland non era certo un brutto disco, ma semplicemente un
disco stanco, ordinario. Così, per quelli come me, che vivono meglio a questo
mondo se hanno la possibilità di ascoltare almeno una volta alla settimana
Southside Of Heaven, era tanta la voglia del vero Bingham e tanta la speranza
di trovarsi di fronte a un nuovo, grande album. Sono però bastati i primi due
ascolti di Fear And Saturday Night, a cui poi, ovviamente ne sono seguiti
altri, per capire di essere nuovamente di fronte a un disco contraddittorio.
Equilibrato nella struttura, che alterna momenti acustici (Broken Heart Tatoos)
ad altri decisamente rock (Hands Of Time), e impolverate malinconie (Nobody
Knows My Trouble) a solari country rock pronti a conquistare più di un passaggio
radiofonico (Radio), Fear And Saturday Night non riesce tuttavia a uscire dagli
schemi di genere, da quel suono, non rielaborato, ma riproposto abbastanza
pedissequamente, che fa venir voglia di citare Bruce Springsteen e Steve Earle.
Si sente che Bingham ci mette il cuore, è un artista sincero, incapace di ruffianeggiare:
ma una voce come la sua, così ruvida ed espressiva, avrebbe bisogno di canzoni
più coraggiose per esprimersi al meglio. Non mancano momenti emozionanti e
davvero ben riusciti, come la citata Nobody Knows My Trouble, che apre il
disco, il rock blues seventies di Top Shelf Drug (consueto ma grintoso) oppure
la struggente Snow Falls In June. Tuttavia, il resto dell’album scivola via
senza troppi palpiti, facendoci venire voglia di tornare là, a Mescalito, dove
tutto è iniziato. Peccato.
VOTO: 6,5
Blackswan, domenica 08/02/2015
5 commenti:
Un onesto cantautore, ma assai gonfiato da certa stampa. Una voce che potrebbe fare faville con le canzoni giuste. Anche il suo album d'esordio è carino ma nulla più'. ciao nick
@ Bartolo: non sono d'accordo: Mescalito è un disco fantastico, già ascoltato, forse, ma fantastico.
Non discuto i gusti personali, e rispetto il tuo punto di vista. Ma pur volendo sforzarmi, la mia linea del cuore resta piatta.
Mescalito grande, il resto decisamente meno potente.
Martedì, comunque, andrò a vederlo.
Dovessi esserci, mandami una mail così ci beviamo qualcosa!
Moscalito grandissimo disco. Anche se è vero che ormai non si inventa pur niente, si possono ancora fare grandi dischi
Ciao!
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