Ho preso tempo, tutto il tempo necessario e forse
anche di più. Un pò come quando, assaggiando un vino vecchio e
strutturato, vuoi coglierne non solo il corpo e l'intensità, ma anche ogni sentore,
ogni minima sfumatura. Calma, lentezza, pazienza. Sufjan Stevens lo
richiede, lo richiede la sua arte, il suo modo di concepire la musica, che mai
nasce da un approccio semplice, accomodante, convenzionale. Stevens per
indole non è scontato nè univoco: ascoltarlo è una continua
avventura, presuppone sempre quella ragionevole avventatezza che
spinge il cammino di un esploratore, quando, passo dopo
passo, affronta l'ignoto, consapevole dei rischi che corre, ma risoluto
alla scoperta. E' quello che abbiamo provato ai tempi della grandeur di
Illinoise (2005) e del folle progetto di sovvertire ogni regola
discografica, immaginandosi la possibilità di pubblicare cinquanta album,
ognuno dedicato a un diverso stato americano; ed è quello che abbiamo provato,
ancor di più, quando ci siamo misurati con le bizzarrie indietronic di The Age
Of Adz (2010), un azzardo all'apparenza incomprensibile, eppure compiuto con
successo. Calma e lentezza è, dunque, quello che richiede anche la comprensione
di Carrie & Lowell, un disco che si pone come contrappunto frugale al
climax raggiunto dalla sovrabbondanza creativa di Stevens: tanto erano ricchi
di suoni e prosperosi di idee i precedenti capitoli della sua discografia,
quanto ora è scarna e minimalista l'impalcatura delle undici canzoni in
scaletta. Se prima l'idea era quella di ricerca e movimento, oggi Stevens punta
a un'affabulante stasi. Eppure, la bellezza di Carrie & Lowell non si
coglie immediatamente, occorre scartare con accuratezza la confezione per
gioire del regalo che cela. Undici ballate folk pop, coerentemente lo-fi,
indipendenti nell'accezione più nobile del termine, quella cioè che
richiama le atmosfere del Sundance Film Festival, fragili nell'impianto
strumentale ma al contempo fameliche di emozioni; undici canzoni
che nascondono la loro bellezza dietro un'omogeneità sonora ovattante, che
piano piano si sgretola, facendo emergere personalità melodiche ben
distinte fra loro. Come il tepore della primavera schiude la fredda terra in un
rinnovato afflato vitale, permettendo ai fiori di sbocciare, così il nostro
paziente ascolto disvela lo stordente susseguirsi di emozioni di
cui Carrie & Lowell è pregno. Sentimenti di afflizione,
tenerezza, affetto, rammarico e nostalgia sono illuminati da una luce
tenue ma persistente, come fossero acquarelli i cui colori
vengano esaltati da un tratto deciso, intento a contenere più che a
sfumare. Ispirato dalla morte della madre (Carrie), avvenuta nel 2012, e
dedicato al rapporto di amicizia col marito di lei nonchè suo padrino
(Lowell), Carrie & Lowell inanella alcune delle migliori canzoni scritte da
Sufjan nel corso della sua carriera, alcune così pure e cristalline da
farci dimenticare tutto ciò che è stato prima, come se l'artista di origini
persiane non avesse più un passato artistico, e fosse solo qui, ora, colto per
sempre nell'attimo. Death With Dignity, Should Have Know Better, Drawn To The
Blood, Fourth Of July, Blue Bucket Of Gold sono così clamorosamente belle da
lasciarci senza fiato, privati di relativizzazioni, in balia dell'assoluto: canzoni leggere
come foglie secche sospinte nel vuoto dal soffio del vento, frementi di vita
come ondivaghe spighe di grano al tatto della mano, incombenti come
un dolore risaputo e costante dell'anima. Emozioni pure, che trascendono
l'arte.
VOTO: 10
Blackswan, mercoledì 25/03/2015
3 commenti:
Non conosco, ma di un tuo 10 mi fido e ascolterò :-)
10???? Allora e' un must! 😎
@ Antonello: Sufjan Stevens è uno di quei musicisti che cambia la prospettiva. fidati. :)
@ Offhegoes: raramente, ma a volte capita. Per me è un capolavoro, superiore perfino a Illinoise.:)
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