Muffe, catafalchi, feretri,
fantasmi, zombie, morti viventi, cadaveri ambulanti, relitti, carcasse,
rottami, avanzi, catorci, vecchi dinosauri, balene spiaggiate; fuori moda,
superati, antiquati, sorpassati, consunti, lisi, logori. Questo lungo elenco di
sostantivi e aggettivi è quello che vi potrebbe saltare in mente, scoprendo che
i The Sonics sono tornati a pubblicare un disco. Cosa aspettarsi infatti da un
gruppo che non incide un album da quasi cinquant’anni e che per quaranta ha
rinchiuso gli strumenti nello sgabuzzino, dimenticandosi, probabilmente, come
mettere insieme due banalissimi accordi ? Nella migliore delle ipotesi che
abbiano partorito un disco di merda. E invece, ‘sto cazzo. Basta un solo
ascolto di This Is The Sonics per capire che Gerry Roslie e soci sono tornati
per riprendersi lo scettro e mettere in fila tutto il garage rock suonato dai
tempi del loro mitico Boom (1965). Che i Sonics abbiamo fatto scuola a tutti è
un dato di fatto: a loro devono più di un’ispirazione, e butto lì a casaccio
qualche nome, MC5, Stooges, The Cramps, Mudhoey, The Jim Jones Reveu e Rocket From
The Crypt; ma che, alla veneranda età di settant’anni, avessero ancora qualcosa
da suonare e lo suonassero così bene, era assolutamente impensabile. Ciò che
invece lascia a bocca aperta di questo nuovo e inaspettato full lenght è il
furore con cui la band di Tacoma si approccia a tutte le dodici tracce in
scaletta. Cerco di andare a memoria, ma non ricordo ultimamente di aver
ascoltato un disco tanto selvaggio, così selvaggio da far venir la tremarella a
sbarbati di vent’anni alle prese col punk rock più duro. Sbarbati, che in
teoria dovrebbero essere capaci di randellare ben più di un settantenne (ah, la
giovinezza e il rock ‘n’ roll !), ma che poi, venendo alla sostanza, non ne
sono mai realmente capaci. Il marchio di fabbrica di quel suono leggendario datato
1960 è invece rimasto immutato: tirate di due minuti e mezzo massimo, riffoni
assassini, le urla demoniache di Roslie e il sax tenore di Rob Lind che
barrisce come un elefante impazzito. Trentatre minuti di piede pigiato sull’acceleratore
per una corsa a perdifiato sul confine sottile che separa garage e punk: per
star dietro alla canzone più lenta mettetevi in sella a un Suzuki 750 e sgasate
alla morte, se cercate un po’ di melodia, ascoltatevi un disco dei Converge
piuttosto, perché, statene certi, qui non ne troverete un’unghia. Brani
originali che, ascoltati a tutto volume, senza un’adeguata preparazione psicofisica,
possono indurre colpi apoplettici (la tripletta iniziale, I Don’t Need No
Doctor, Be A Woman, Bad Betty, fa male peggio di un uppercut alla base del
mento) e in più qualche cover mai così riuscita, come The Hard Way dei Kinks,
puro orgasmo punk, e You Can’t Judge A Book By The Cover di Willie Dixon, che
non ricordavo così eccitante dai tempi di Bo Diddley. Brutale, primordiale,
feroce, rigorosamente in mono: questo è il volto più giovane e devastante del
rock’n’roll. Non importa quanti anni si abbiano: l’anagrafe ne dichiara settanta,
This Is The Sonics dice al massimo venti. Se non vi piace, siete voi, vecchi
dentro.
VOTO: 9
Blackswan, lunedì 06/04/2015
1 commento:
Non è il genere che prediligo, ma questa gente suona musica VERA!Quello che ascoltiamo dalle nuove band non regge nemmeno il confronto. Suonare così a settanta anni e impattare in questo modo vuol dire che sei nato solo per quello!!
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