A volte, quando
raggiungiamo un certo convincimento con onestà intellettuale (giudicando cioè
un’opera per quello che è e non solo perchè ci piace), verrebbe voglia, di
fronte a tanta bellezza, di utilizzare la parola “capolavoro”. Tuttavia, spesso
e volentieri (forse più spesso del dovuto), manteniamo un profilo ben più
basso, spaventati probabilmente dall’eccesso di responsabilità che ci assumeremmo
e dal timore di una pisciata fuori dal vaso che qualcuno, prima o poi, ci farà
pagare a caro prezzo. Pertanto, per quanto in cuor mio ritenga che Who Is The
Sender? sia il disco più prossimo alla vetta che abbia ascoltato da tempo,
eviterò accuratamente di parlare di capolavoro, utilizzando invece sostantivi,
aggettivi e giri di parole necessari a mantenere quello che gli inglesi
chiamano understatement. Diciamo allora che l’ultimo full lenght di Bill Fay è
un grande disco, al pari di tutti gli altri dischi pubblicati dal songwriter britannico
nell’arco di quarantacinque anni. Non stropicciatevi gli occhi, avete letto
benissimo: Fay ha rilasciato solo quattro dischi in quasi mezzo secolo e, tra l’altro,
con una cadenza quanto mai anomala. Due pubblicazioni a inizio anni ’70 (Bill
Fay e Time Of The Last Persecution, rispettivamente del 1970 e del 1971), seguiti
dalla cacciata dalla Decca, l’allora casa discografica, per conclamato e
irreversibile flop commerciale, uno iato lungo una vita, la bellezza di
quarantun anni, il ritorno sulle scene nel 2012 con lo splendido Life Is People
(altro capolavoro, ma come abbiamo scritto, non si può dire). Poi, ancora (o solo)
tre anni, ed ecco il nuovo Who Is The Sender?, apice di una carriera molto diluita
nel tempo ma (e forse proprio per questo) di qualità eccelsa. Eccelso è il primo
di una lunga serie di aggettivi che mi sono venuti in mente per descrivere le
canzoni di Who Is The Sender?, il cui livello compositivo è così alto (e altro)
da lasciarmi imbarazzato per (quasi) tutti quei dischi di cui ho parlato bene
in questa prima parte del 2015. Perché le tredici canzoni in scaletta, anche in
questo caso uso il basso profilo, non sono solo di una bellezza straniante, ma
in quattro o cinque casi sembrano aver ricevuto l’imprimatur divino. Se Life Is
People si muoveva ancora entro territori musicali più contigui (ma senza
esagerare) a una formula canzone prossima al folk – blues di ispirazione
americana (la presenza di Jeff Tweedy non era un caso), questo nuovo lavoro si
fa decisamente più straniante, dribbla ogni possibile coordinata di
riferimento, pone al centro del modulo espressivo il pianoforte e gli archi,
sbriciola la consuetudine in un impasto sonoro che lo stesso Fay definisce alternative
gospel, tende all’assoluto accostando epica delle emozioni e spiritualità (laica).
In tal senso, l’iniziale The Geese Are Flying Westward può essere utilizzata
come chiave di lettura di tutto il disco: un ascolto a testa in su, compresi
nel raccoglimento della nostra malinconica finitezza, a cercare nel cielo il
volo di un uccello che ci doni un pensiero di eternità e ci liberi dalle catene
del nostro destino. La prima di un filotto di canzoni che si muovono sul
confine fra estasi e tormento, su quel fragile equilibrio tra speranza e
disillusione che anima le nostre vite, inducendoci a lacrime di consapevolezza
e a brevi istanti in cui ci sentiamo leggeri e parte del tutto, natura nella
natura, sole nel sole (Underneath The Sun). Fra le note di Who Is The Sender?
emergono echi della miglior musica ascoltata in questi quarant’anni in cui Fay
ci ha lasciati in attesa: c’è il Peter Gabriel tormentato di Here Comes The Flood
e Family Snapshot (la già citata Underneath The Sun), ci sono quei soundscapes
scorbutici che identificavano il songwriting di Vic Chesnutt (il sottofondo
noise nella coda della visionaria How Little?) e percepiamo una tendenza al
crescendo minimalista (solo apparentemente una contraddizione in termini) che
evoca gli scozzesi Blue Nile. Trattasi tuttavia di mere speculazioni, un
tentativo di spiegare una musica che ha ben poco a vedere con le parole (già
fin troppe, le mie) e con le nostre abitudini sonore, ma vive semmai dentro di
noi come un sentimento, in quel preciso punto fra cuore e cervello, ove nasce
la brama di bellezza. Fragile e potente, colta e popolare al contempo, la
scrittura di Bill Fay, centellinata nei decenni, finisce per svuotarci (come
già fece in passato) di tante fallaci convinzioni, imponendoci un livello d’ascolto
che è un armonioso e totalizzante insieme di struggimento, libertà,
partecipazione, aspirazione, misticismo e poesia. Tanto che verrebbe voglia di
parlare di capolavoro, se non fossimo affetti da congenito undestatement. Ma
che sia un grande, anzi un grandissimo disco, possiamo dirlo senza remore.
VOTO: 10
Blackswan, martedì 26/05/2015
9 commenti:
Concordo, disco fantastico.
Di Bill Fay il disco che preferisco è Time of the Last Persecution.
ciao
Concordo, disco fantastico.
Di Bill Fay il disco che preferisco è Time of the Last Persecution.
ciao
Come? Con un "10" di voto non è un "capolavoro"?
Mi piace anche se in po' mi stanca, per me è un "ottimo" disco. :)
Ho sentito solo questa canzone (inutile dire che l'artista mi era totalmente ignoto)e mi pare un gran pezzo.
Di solito quando leggo una recensione molto positiva di Black mi attacco alla poltrona dal terrore.
In questo caso, giù il cappello.
Quoto il voto 10
Maurizio
@ Andrea: Si, disco decisamente superiore alla media. A me, piacciono tutti. forse quest'ultimo è il più bello in assoluto.
@ Silvano: il motivo lo trovi leggendo il post. E, ovviamente si, è un capolavoro. Io non smetto di ascoltarlo: è un'inodazione continua di emozioni.
@ Ezzelino: ciò significa che ti piacciono i dischi oggetto di quelle molto negative. Fammi sapere cosa ti interessa che te lo stronco :)
@ Maurizio: Senza se e senza ma. Così mi piaci :) Grandissimo disco davvero.
Concordo con Ezzelino! Mi hai fatto scoprire un sacc odi gruppi interessanti (ti seguo da un po anche se non commentavo mai)
e questo pezzo.. mi ha fatto venire i penotti!!! come si dice dalle mie parti ;)
In realtà il punto è che tu tocchi il diapason per cose che son troppo avanti per un Cro Magnon come me.
Ma non è un problema, so che mi vuoi bene lo stesso.
@ Sally: ne sono felice, davvero. e credo che i "penotti" equivalgano più o meno al nostro milanesissimo "magone " :)
@ Ezzelino: troppo avanti? No, dai, non direi proprio...
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