L’eterogeneo panorama musicale degli anni '90 era un
susseguirsi di piccoli grandi momenti che resero quel decennio l'ultimo in
grado di generare qualcosa di nuovo: il suono di Seattle e le sue
propaggini radiofoniche (post grunge), la (presunta) disputa fra Blur e Oasis e
la brit pop invasion, l'avanzata inarrestabile delle armate nu metal e le
sperimentazioni malinconiche dei Radiohead. Poi c'era chi cercava strade
d'espressione oblique, chi innestava un genere sull'altro e imbastardiva
il suono. Lo chiamavano crossover e vedeva fra i suoi alfieri gruppi in odore mainstream
(Red Hot Chili Peppers, Incubus), geniacci dissacratori (Perry Farrell dei
Jane's Addiction e Les Claypool dei Primus) e, quindi, loro, i Faith No More,
capitanati da quel cappellaio matto che prende il nome di Mike Patton. Musica
schizofrenica, instabile, in bilico fra metal, funk, sperimentazione e
ghigno iconoclasta, e due album, Angel Dust (1992) e King For A Day (1995), fra
i più interessanti di quella stagione. A diciotto anni dall'ultimo disco in
studio (Album Of The Year risale al 1997), i Faith No More si chiudono in
garage, come una band di teenagers degli anni '60, tengono nascosta la
reunion a stampa e ad amici, lavorano su un pugno di canzoni originali e
si ripresentano al mondo con un album nuovo di zecca dal
titolo Sol Invictus. A volte ritornano, si diceva qualche tempo fa. Oggi,
invece, tornano proprio tutti, e ogni volta, al di là del clamore e di quello
speranzoso affetto che accompagna sempre il ritorno dei miti del passato, si
insinua in noi il subdolo (e spesso confermato) timore dell'operazione
commerciale fine a se stessa. Timore, nello specifico, fugato immediatamente da
i due singoli che hanno anticipato il full lenght, la
spiazzante Motherfucker e la nerboruta Superhero (una sorta di Epic 2.0) e
poi dall'ascolto di tutto il disco. Perchè, diciamolo subito, non sembra essere
passato un giorno dall'uscita di Album Of The Year e la band è più in forma che
mai, l'inconfondibile timbro vocale di Patton si è solo un
poco ispessito ma resta assai brillante, di idee valide ce ne sono
parecchie (Mike Patton, in questi vent'anni, ha messo in piedi progetti e
collaborazioni a iosa) e di buone canzoni pure (Rise Of The Fall, Black
Friday). Resta, e non potrebbe essere altrimenti, la sensazione di deja
vù. Ma questo è un problema limitato a coloro che hanno vissuto in prima
persona il decennio e sono fans del gruppo dalla prima ora. Per tutte le
giovani leve, abituate a suoni ingessati e ovvietà assortite, Sol Invictus
rappresenterà un'inconsueta botta di adrenalina. Bentornati.
VOTO: 7
Blackswan, mercoledì 13/05/2015
3 commenti:
Uno dei miei gruppi preferiti in assoluto. I primi due singoli mi hanno fatto venire l'acquolina in bocca. Non leggo la tua recensione altrimenti mi faccio influenzare, ma il 7 mi sembra di buon auspicio all'ascolto :-)
7 meritato...o forse anche più:)
Qui il nostro nuovo format live + intervista se ti va di darci un occhio https://youtu.be/g-cJOg7X_UM
da sempre uno dei miei gruppi preferiti. spiazzanti e senza regole, i Faith no more degli anni '90 rivisti erano ancora più geniali. Anche io ho sentito solo il singolo, e se il buongiorno si vede dal mattino....Piccola curiosità: Mike Patton è sposato con una (ormai) signora di Fabriano, all'inizio degli anni 2000 lo incontrai in un bar del centro, foto di rito e qualche chiacchiera: simpaticissimo, un gran signore che parla italiano come un marchigiano..ed ho detto tutto!! :-)
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