La vita di Tony
Webster è stata un fiume relativamente tranquillo, da costeggiare al riparo di
scelte ragionevoli e sistematici oblii. Ora però la lettera di un avvocato che
gli annuncia un'inattesa quanto enigmatica eredità sommuove il termitaio poroso
del passato, e il tempo irrompe nella noia del presente sotto forma di parole
risalenti all'adolescenza, quando Tony procedeva all'educazione morale,
sentimentale e sessuale che ne avrebbe fatto, inavvertitamente come spesso
accade, l'adulto che è. Il percorso a ritroso nelle zone d'ombra della vita,
con i suoi dolori inesplorati e i suoi segreti, diventa cosi riflessione sulla
fallacia della storia, "quella certezza che prende consistenza là dove le
imperfezioni della memoria incontrano le inadeguatezze della
documentazione", secondo il geniale amico dei tempi del liceo, Adrian
Finn. Ed è dunque a quel punto di congiunzione, ai ricordi imperfetti come ai
documenti inadeguati, che il vecchio Tony deve ora guardare per comprendere le
vicissitudini del Tony giovane. Come ha potuto la ragazza di allora, Veronica
Ford, preferirgli l'amico raffinato e brillante, Adrian? Ci sono solo Camus e
Wittgenstein dietro l'estrema decisione di Adrian? Da che cosa ha voluto metterlo
in guardia tanti anni prima la madre della ragazza? Perché a distanza di
quarant'anni Veronica ritorna nella sua vita con un bagaglio di silenzi e il
rifiuto di dargli ciò che è suo? Gli indizi da studiare tessono un filo
d'Arianna di reminiscenze inaffidabili.
Chiudo l'ultima
pagina del libro e non capisco se Il Senso Di Una Fine, opera che è valsa
a Julian Barnes il Man Booker Prize nel 2012, sia un romanzo troppo
sopravvalutato oppure un piccolo capolavoro. Probabilmente, a ben
rifletterci, nessuna delle due cose. Di sicuro, però, non è un libro banale e,
al netto di molti difetti (almeno nell'ottica di scrive) impone tante
riflessioni, cosa che, a prescindere dalla caratura artistica di un'opera, è
comunque un merito non da poco. La storia di Tony Webster è divisa in due soli
capitoli, per un totale di centocinquanta pagine. Nella prima parte, ambientata
nella swinging London degli anni '60, Tony è un giovane e presuntuoso liceale,
animato da velleità filosofiche che condivide con gli amici (tra cui il
brillante Adrian), insieme alla scontata passione per il sesso, aspirazione in
parte irrealizzata, fino a quando non conosce e si innamora di Veronica. Il
secondo capitolo, invece ci porta ai giorni d'oggi. Tony è ormai
anziano, ha un divorzio alle spalle, una figlia e dei nipoti, con cui vive una
rapporto di educata incomprensione, e passa le giornate in un consolante tran
tran, in attesa della fine dei suoi giorni. Poi qualcosa succede, qualcosa di
così inaspettato da sovvertire le certezze di un'intera esistenza. Julian
Barnes è abile a creare una crescente suspence, che trasforma la
narrazione in un piccolo thriller esistenziale, e riesce a intorbidire le
acque, sballottando il lettore (anzi, meglio: prendendolo per il naso) e
centellinando i misteri, fino a uno spiazzante finale. E qui casca
l'asino: perchè l'epilogo, senza dubbio sorprendente, è pero talmente
artefatto, forzato e strumentale al senso del libro, da risultare
inverosimile. A un primo piano di lettura, quello che si sofferma sulla
trama e sul retroscena finale, il romanzo di Barnes potrebbe quindi deludere;
così come non riesce ad accendere gli animi una prosa impeccabile,
stilisticamente perfetta, ma un filo compiaciuta e un tantino fredda. Tuttavia,
Barnes, pur con l'artificio della suspence, riesce a innescare nel lettore
più di una riflessione. E' il tema del ricordo, soprattutto, a
divenire il perno centrale della narrazione, a spingere il lettore a porsi
domande, la cui risposta non è poi, o almeno non dovrebbe esserlo, così
scontata. In cosa consiste la nostra vita se non in un accumulo di
ricordi? Quanto di vero c'è nelle nostre esistenze e quanto invece è
ricostruito artatamente sulla base di ricordi nostri e altrui che il tempo
cristallizza in una versione non fedele agli eventi? Quanto, e quante
volte, manipoliamo i nostri ricordi perchè l'esistenza ci appaia diversa
da quella che è (stata) realmente oppure per trovare una giustificazione
alle nostre scelte passate? Quante volte un ricordo può sovrapporsi a una verità
impedendoci di vederla con chiarezza, rendendoci ciechi di fronte alla nostra
mediocrità e al dolore altrui? Ecco, il ricordo è la chiave per comprendere,
l'unico strumento (ampiamente fallace) che abbiamo per dare il senso a una
fine, il senso alle nostre vite e, probabilmente, un senso a
questo romanzo. Che, come dicevamo, non è del tutto centrato ed
efficace. Eppure, la sottigliezza filosofica con cui Barnes costruisce la
propria tesi e lo sguardo cinico, spietato e ironico con cui inchioda il
protagonista alla propria inettitudine, rendono la lettura de Il Senso Di Una
Fine intrigante e coinvolgente.
Blackswan, mercoledì 06/05/2015
2 commenti:
A me è piaciuto molto.
Non sono una fanatica delle storie, per cui mi importa poco che tutto nella trama torni alla perfezione.
Cerco dei temi, cerco la letteratura... E questo romanzo ce l'ha senza dubbio.
@ Saeglòpur: anche a me è piaciuto molto,ma cerco sempre di dare soggettivamente il parere più obbiettivo possibile :)
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