Chris Stapleton, songwriter trentasettenne, originario
del Kentuky, ma ormai di stanza a Nashville, ha regalato le proprie canzoni un
po’ a tutti. A Brad Paisley, ad Adele e a Kenny Chesney, tanto per citare
i più famosi. E non pago di tanta generosità, ha anche messo la propria
penna al servizio di stelle di prima grandezza, quali Sheryl Crow e Peter
Frampton. Poi, quasi alla soglia dei quarant’anni, ha preso il coraggio a due
mani e ha deciso di esordire con un full lenght tutto suo. Questo Traveller non
è dunque l'esordio di una giovane promessa, bensì di un autore navigato,
che conosce a menadito i segreti del songwriting e quelli di un genere che ormai
mastica da tempo e con grandi, anche se indirette, soddisfazioni (la sua Never
Wanting Nothing More, interpretata da Kenny Chesney, è stata per cinque
settimane in testa alle charts statunitensi). Non è un caso quindi che si
sia fatto produrre da Dave Cobb, una sorta di Re Mida dell'Americana, che ha
messo mano all'ultimo di disco di Sturgill Simpson (Metamodern Sound In Country
Music, balzato in vetta alle classifiche country dello scorso anno) e
soprattutto a Southeastern, capolavoro di Jason Isbell, pubblicato un paio di
anni fa. Traveller, merito anche di Cobb, è un disco pressoché perfetto
negli equilibri, grazie proprio a una produzione che cerca, raggiungendola,
omogeneità e pienezza di suoni. Non si tratta però di un album che si
sviluppa in modo uniforme: la scrittura di Stapleton è volubile,
molto legata alla tradizione country, ma capace anche di sconfinare
nel southern (Might As Well Get Stoned), di graffiare col
rock (Parachute), di corteggiare il soul nella superba rilettura di
Tennesse Whiskey, già portata al successo da George Jones. Per più di un'ora,
si susseguono tutte quelle suggestioni che chi sogna l'America a occhi aperti
ben conosce. Si viaggia in libertà, capelli al vento, su una decapottabile
in fuga su qualche statale circondata dal nulla (la title track); o si sorseggia
una birra ghiacciata, seduti in veranda, al tramonto, innanzi a una distesa di
grano (l'evocativa Daddy Doesn't Pray Anymore). E' l'America più vera,
quella che guarda alle radici, che ci stringe la gola con sconfinate
malinconie, che ci gonfia il petto di epica e ruvidi sentimenti, che
ci riscalda il cuore con la fiamma di un bourbon tracannato in un sorso
(Whiskey And You). Un disco di emozioni, prima che di grande musica, un
itinerario attraverso gli States, che suggerisce il ricordo a chi
quella terra già la conosce, ma che farà sognare anche quelli che
preferiscono viaggiare comodamente seduti sul divano di casa.
VOTO: 8
Blackswan, martedì 23/06/2015
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