Esordire a trentatre anni nonostante una voce così
bella, è una di quelle ingiustizie che solo i nostri tempi, così restii a
comprendere la bellezza e il talento, possono perpetrare. Fossimo stati negli
anni '60 o '70, Olivia Chaney avrebbe avuto lo spazio che merita già da
tempo. Invece, ferme restando le dovute eccezioni, continuiamo a beatificare
stuoli di folk singers che, pur non avendo stoffa, riescono a imporsi al
grande pubblico grazie a un hype superiore o per aver azzeccato un singolo
di successo, di cui il tempo però cancellerà ogni traccia. Se la qualità della
musica e le capacità tecniche di chi la suona hanno ancora un senso,
consoliamoci per il ritardo e pensiamo al fatto che Olivia Chaney è qui ed
è qui per restare. Nata nel 1982 a Firenze (è una casualità, non la classica
fuga di cervelli dal nostro triste paese), trasferitasi a Oxford,
dove ha mosso i primi passi artistici, la songwriter e polistrumentista inglese
è cresciuta con i dischi di babbo, appassionato di Bob Dylan, Bert Jansch,
Fairport Convention e e in genere di tutto il folk anni '60. Dopo
aver studiato jazz alla Royal Academy Of Music di Londra e aver lavorato,
anche come attrice, allo Shakespeare's Globe Theatre, la Chaney ha iniziato a
collaborare con vari musicisti (Zero 7, Alasdair Roberts) e finalmente nel 2010
ha rilasciato il suo primo Ep. Oggi, a distanza di cinque anni da quel
primo lavoro, la Nonesuch Records ha prodotto l'esordio full leght di
un'artista che, come si diceva, avrebbe meritato da tempo le luci della
ribalta. La Chaney si muove ovviamente nei territori che meglio conosce e che
sono quelli del folk di derivazione (soprattutto) inglese e americana,
mettendo insieme una scaletta di canzoni originali (oltre a un paio di cover)
suonate per pianoforte e chitarra, intessute su arrangiamenti essenziali e
glorificate da una voce splendida. Lo scarto decisivo è proprio il timbro
vocale e la tecnica sopraffina della Chaney (ascoltare There's Not A Swain
per farsi un'idea), tanto che, forse per la prima volta, a ragione, il paragone
con Joni Mitchell non suona come una forzatura o un'esagerazione. Le canzoni
del disco scorrono lente proprio come un lungo fiume, si immergono nella natura,
ne svelano i colori e i profumi, per librarsi poi leggere verso il cielo,
nell'aria odorosa di primavera. The Longest River è un disco di musica che si
abbevera di cultura, è figlio di studi e di un background artistico
non solo di superficie; eppure, non risulta mai verboso o pretenzioso, ma
conquista, ascolto dopo ascolto, con le sue atmosfere rilassate e
dolcissime suggestioni contemplative. Un esordio coi fiocchi.
VOTO: 8
Blackswan, venerdì 28/08/2015
1 commento:
grande voce :) interessante .....
oggigiorno per essere socperto sotto i ventanni devi avere tanti amici in facebook.....e' da li che parte il vero modern marketing.. ;)))
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