domenica 27 settembre 2015

CHRIS CORNELL – HIGHER TRUTH



Mi chiedevo da tempo quale fosse il problema di Chris Cornell, come fosse possibile che l’inarrivabile voce di Hunger Strike e Black Hole Sun potesse essersi ridotto a vivacchiare tra comparsate in colonne sonore e mortificanti episodi solistici (Scream), al solo ricordo dei quali rischio il conato di vomito. Poi, riguardando la discografia dell’ex ragazzo di Seattle, mi sono reso conto che, al netto della militanza Audioslave (buono il primo, un po’ meno gli altri due), l’unico disco decente partorito da Cornell è Songbook (2011), convincente live acustico che ripescava a piene mani dal glorioso passato. Ecco, forse il problema è proprio il passato. Perché è chiaro ormai che “The Voice” non riesce a vivere il presente, a stare al passo coi tempi, ma ha bisogno, perché la sua creatività abbia un senso, di guardarsi allo specchio e ritrovare l’ugola meravigliosa dei lontani fasti grunge. Non è un caso che Higher Truth esca proprio dopo la recente (e rivitalizzante) reunion dei Soundgarden, che a produrre il disco sia Brendan O’brien, padre putativo della produzione anni ’90 e già al mixaggio sulle vette di Superunknown (1994), e che in un paio di pezzi compaia, dietro ai tamburi, Matt Chamberlain che, guarda caso, ha fatto qualche comparsata anche nel Giardino del Suono. Così, in Higher Truth, Cornell convoglia i propri ricordi e una scrittura che affonda le  radici in quegli anni ’90 che furono per lui tanto gloriosi. A rigenerare il suono ci pensa O’Brien, impeccabile dietro la consolle e abile a modernizzare canzoni che potrebbero essere state scritte vent’anni fa. Il risultato è un disco di post grunge elettro acustico, privo di ruvidezze hard e percorso semmai da una vena cantautoriale pop folk, capace di guardare alle classifiche ma anche di suggestionare in chiave nostalgica la generazione che visse in prima persona l’avventura Soundgarden. Non siamo di fronte a un gran disco, sia bene inteso, ma è senz’altro il miglior parto dai tempi di Euphoria Morning (1999): Higher Truth è, in definitiva, un lavoro onestissimo, credibile, maturo e sincero, che ci regala un pugno di canzoni niente affatto prescindibili (Nearly Forgot My Broken Heart, Before We Disappear, Let Your Eyes Wonder). Stona solo il finale di Our Time In The Universe, un pop dozzinale ed elettronico, messo lì a ricordarci che Cornell non ha perso il vizio di pasticciare il presente. A dimostrazione che, nel suo caso, il passatismo non è un vizio di forma ma concreta ispirazione. 

VOTO: 6,5 





Blackswan, domenica 27/09/2015

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