Flint, cittadina del Michigan di poco più di centomila
anime, è un posto di merda. Basta fare un rapido giro nel web per rendersi
conto che da queste parti il numero annuale di morti ammazzati, fa impallidire
la trama di uno qualsiasi dei film di Bruce Willis, e regge molto bene il
confronto con il clima salubre che si respira a Ciudad Juarez, vedete voi quale
paragone ritenete più acconcio. La chiamano Murder Town non a caso, e da qui
arrivano i King 810, band nu metal, a cui il 2015 ha portato un inaspettato
successo. Il battage pubblicitario della casa discografica, la mitica e controversa
Roadrunner, e il proliferare delle storie che, anche in questo caso, potete
trovare senza fatica in rete, ha prodotto nei confronti della band
capitanata dal cantante David Gunn un'attenzione mediatica davvero notevole, soprattutto
se si tiene conto che stiamo parlando di un gruppo con solo due Eps e un
album, questo Memoirs Of A Murderer, all'attivo. I motivi di tanta
attenzione risiedono nella storia di Gunn, cresciuto tra gang, pistole e
coltelli, e ridotto in fin di vita, qualche anno fa, nel corso di una rapina;
ma anche nell'esito spesso funesto dei concerti tenuti dai King 810, divenuti
luoghi di culto per gli amanti delle risse e del delirio a prescindere.
Qualcuno obbietta che la loro storia sia una montatura creata ad arte; altri,
invece, sono pronti a giurare che sia tutto vero, e che Gunn e soci
riflettano nel modo più sincero possibile il mondo in cui sono cresciuti.
Probabilmente, come spesso accade, qualcosa di vero c’è, e questa parte di
verità è stata gonfiata a bella posta, consentendo così al combo statunitense
di raggiungere l'auspicata visibilità. Fatta la premessa, corre tuttavia
l'obbligo di entrare nel merito dell'ascolto, che, al netto di tutte le
suggestioni poco sopra riportate, lascia alquanto interdetti. Questa musica,
con qualche tocco di modernità in più, è vecchia di vent'anni: un tempo si
chiamava nu metal, e annoverava fra i suoi alfieri gruppi del calibro degli
Slipknot e dei Korn (i primi Korn, ovviamente). Non è, però, questo il
vero problema. Mi pare, invece, che a parte l'altisonante battage
pubblicitario, la proposta della band risulti alquanto artefatta. Nel tentativo
di creare un suono diversificato, che si discosti dagli ovvi modelli di genere,
i King 810 perdono infatti un pò il bandolo della matassa, risultando molto
meno sinceri di quanto ci si sarebbe aspettati da chi, vista la premessa,
dovrebbe essere tutto rabbia e furore. Alcuni skit inseriti (Anatomy 1:2,
Anatomy 1:3), infatti, sembrano messi lì per allungare il brodo da gangsta
band; le aperture melodiche, in bilico fra acustico (Take It) ed elettronica
(Eyes), invece di sparigliare le carte in tavola, appesantiscono
l'ascolto e, a parte la buona Devil Don't Cry, non brillano certo per
creatività. Il resto, cioè la parte consistente della proposta, è nu metal
costruito su riffoni pesantissimi, voce in screaming e batteria pestata
usque ad finem, capace talvolta di ottimi risultati (War Outside), e più
spesso solo di un dignitoso minimo sindacale (Killem All). Memoirs Of A
Murderer, in definitiva, non è un disco brutto e forse nemmeno totalmente
inutile, ma, più semplicemente, patisce le aspettative eccessive che
si sono create intorno al nome della band. Una band che, ho l'impressione,
potrebbe produrre cose migliori, asciugando il suono e liberandosi dalle
pose di cattivi a tutti i costi. Un pò di rabbia sincera, insomma: ecco cosa
manca ai King 810.
VOTO: 6
Blackswan, giovedì 10/12/2015
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