Se il 2015 è stato l’anno dello spettacolare
ritorno alla ribalta dei Sonics, questo scorcio di 2016 ci ha già
infiocchettato la sorpresa: il nuovo album di Emitt Rhodes dopo 43 anni dalla
sua ultima fatica discografica, Farewell
to Paradise, dato alle stampe nel 1973. Non una grande
annata per l’umanità, Nixon e Brežnev
governavano il mondo, Andreotti l’Italia; muoiono Picasso e Neruda, nascono
Salvini e la Gelmini. E’ passata una vita da allora. Questa, quindi, è la
storia di un’assenza lunga quanto una vita, per certi versi simile a quella di
Bill Fay o a quella, ancora più incredibile, di Sixto “Sugar Man” Rodriguez,
acclamato e mitizzato a sua insaputa nel Sudafrica dell’apartheid al pari di
Hendrix e Dylan ma sconosciuto o dato per morto in America e nel resto del
mondo.
Per raccontarla partiamo dal 2009. A vestire i
panni del fan che vuol vederci chiaro stavolta è un italiano, si chiama Cosimo Messeri,
è un giovanissimo film-maker già collaboratore di Carlo Mazzacurati e Nanni
Moretti. Sarà anche grazie all’ostinata determinazione di questo ragazzo che Emitt
Rhodes avrà una second chance. La
scintilla scatta per caso Messeri acquista per pochi spiccioli un LP in una
bancarella dell’usato. Qualche ricerca sullo sconosciuto songwriter e fin da
subito la consapevolezza di avere tra le mani una bella storia da mettere su
pellicola. Per quale motivo si è ritirato dalle scene a soli 23 anni, è vivo? è
morto? Non è poi così complicato scoprire la causa che innescò la sparizione artistica
di Rhodes. I cattivi di questa storia sono i tipi della ABC/Dunhill Records, l’etichetta
discografica dell’epoca che lo vincolò ad un contratto capestro imponendogli
ritmi da catena di montaggio, un LP ogni sei mesi. L’inadempienza da parte del
perfezionista Rhodes, che intanto s’era dato tempi di produzione sempre più
lunghi, fu inevitabile. Carriera finita tra avvocati, cause e royalties
trattenute dalla label per coprire l’enormità (250,000 dollari) prevista dalle
penali in contratto. Da qui in poi parte lo stalkeraggio di Messeri per
ottenere il consenso e la partecipazione del disincantato e recalcitrante Rhodes
alla realizzazione del film. “The One Man
Beatles” racconta tutto questo, uscirà qualche tempo dopo riscuotendo
interesse e riconoscimenti in importanti festival cinematografici, restituendo visibilità
internazionale all’artista americano. Il titolo è mutuato dal soprannome
affibbiato a Rhodes in quegli anni per la consuetudine a far tutto da solo. Produce,
compone, canta, e suona tutti gli strumenti nel suo studio di registrazione assemblato
nel garage di casa. Nella differenza che passa da One Man Band a One Man
Beatles c’è tutto il talento cristallino di Emitt Rhodes.
Ma facciamo un’ulteriore passo indietro.
1967, esordio targato A&M dei Merry-Go-Round, la prima
band importante per il diciasettenne musicista dell’Illinois. E’ un disco che
non passa inosservato, Billboard inserirà il singolo Live
/ Time Will Show the Wiser tra i più
belli dell’anno. Listen, Listen invece
arriverà solo nel 1968 e chiunque abbia ascoltato questa canzone non potrà mai più
dimenticare il nome di Emitt Rhodes. Una pop song perfetta che tutti assoceranno
per orecchiabilità e sonorità ai successi immortali dei Fab Four. L’attività solistica durerà per i cinque anni successivi
con le curatissime pubblicazioni di Emitt
Rhodes (1970),
anch’esso celebrato da Billboard che gli assegnerà un posto di prestigio tra i
Best 100 del decennio, Mirror
(1971),
The American Dream (1971) e infine,
come abbiamo già detto, Farewell
to Paradise (1973). Una manciata di album in cui, conti da pagare alle sanguisughe
della Dunhill e canzoni indimenticabili, vanno di pari passo. 'Til The Day After, You Should be Ashamed, Really
Wanted You, Birthday Lady sono
solo alcuni dei classici immediati che caratterizzeranno lo stile Emitt Rhodes.
Qualcuno ipotizzò che dietro a questi splendori Power Pop ci fossero,
sotto mentite spoglie, Paul McCartney o addirittura i Beatles al completo del
dopo Let It Be!
Ma veniamo a oggi. A conti fatti, per ultimare Rainbow Ends, Rhodes ha impiegato una decina
d’anni. Anche senza il fiato sul collo di studi legali e case discografiche non
sembrerebbe si sia sbattuto più di tanto per affrettare la condivisione di
queste nuove canzoni con il pubblico. Il timbro vocale è ancora meraviglioso,
difficile non invaghirsene, e ad ascoltarlo vengono in mente all'istante
Jackson Browne, John Martyn e James Taylor. La vena compositiva, immutata, è
quella dei bei tempi, come se questi 43 anni non fossero mai passati. Alle melodie
leggiadre e solari, capaci di imprimersi nella memoria già dal primo ascolto, si
alternano brani di grande intensità emotiva. Tra i momenti migliori da segnalare le imperdibili Dog On a Chain, This Wall
Between Us e Put Some Rhythm to It.
Sulla copertina del disco c’è solo lui, dietro a quello che sembra un
vetro appannato, il viso ingrassato e irsuto, la smorfia immortalata, un
sorriso contenuto, come ringraziasse pudicamente per quanto gli sta
riaccadendo.
Impressiona, ma non sorprende, l’elenco
di quanti hanno collaborato alla realizzazione dell’album. Prodotto da Chris
Price, vede tra gli altri, Fernando Perdomo, Aimee Mann,
Susanna Hoffs
(Bangles), Roger Joseph Manning, Jr. (Jellyfish), Jason Falkner (Three O'Clock), Nels Cline (Nels Cline Trio, Wilco), Jon Brion (Fiona Apple, Robyn Hitchcock). Tanti musicisti
di qualità per sostenere, mano sul cuore e rispetto infinito, questo geniale
quanto dimenticato cantautore americano. Emitt Rhodes è stato un fuoriclasse e
sarebbe potuto diventare una grande star ma in questa storia ad averla vinta, fino
a ieri, sono stati un manipolo di avvocati. Da adesso in poi si vedrà e, per
dirla alla Jake Blues, io li odio gli avvocati
dell’Illinois!
PS: allo stato, su youtube, ancora non si trovano video dell'ultimo album (ndr)
Voto: 8
Porter Stout, martedì 08/03/2016
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