Chiudete gli occhi e
immaginate. Immaginate di essere seduti sul retro di un pick-up, il vento a
schiaffeggiarvi i capelli, l’interstate che sfreccia sotto i vostri piedi, il
sole buono della primavera a dorare un profondo orizzonte di grano. E immaginate
di sdraiarvi in quella distesa di spighe bionde, quando il crepuscolo vi
avvolge e voi, col naso all’insù, cercate di dare un nome alle prime stelle che
baluginano in cielo. Chiudete gli occhi ancora e spingetevi nella notte
silenziosa del Midwest, fino a quel silo là in fondo, dalla cui sommità
potrete attendere il brumoso abbraccio dell’alba. Ora, mettetevi le cuffie e
ascoltate Above The Prairie, quinto album in studio dei The Pines : vi
accorgerete di non avere più bisogno di chiudere gli occhi e che tutto quello
che avete immaginato si sta materializzando d’incanto intorno a voi. Il
Midwest, cuore rurale dell’America, il
mare fluttuante del granoturco, distese d’erba profumata e grassa, la primitiva
solitudine di fattorie perse nel silenzio, il frinire dei grilli nella notte tiepida, l’immensa
quiete del cielo che abbraccia la terra. Ora ci siete solo voi, il Midwest e i
The Pines. E queste dieci canzoni di americana, che con tratto leggero disegnano
paesaggi e natura, epiche come un road movie, trasognate dall’estasi della
contemplazione, evocative come la luce blu, che accompagna il trapasso del
crepuscolo nel cuore della notte. Aerial Ocean apre il disco con la lirica
visione di un cielo al tramonto, che tinge di rosso la pianura, stagliando in
lontananza i bassi contorni di un paesaggio collinare: un tappeto di
pianoforte, il morbido arpeggio delle chitarre, una slide appena sussurrata, una
sensazione di smaterializzazione, come se il corpo all’improvviso si fermasse e
l’anima volasse leggera fra astri lontani e dolcissime malinconie. There In
Spirit riporta coi piedi per terra, il sogno si fa narrazione, la notte sfuma,
mentre l’alba sfiora insieme ai vostri piedi scalzi il fresco tepore dell’erba.
Le sonorità sono appena un po’ più roots, ma è sempre il pianoforte a
intrecciare i fili di una dolente melodia. Tutte le canzoni del disco sono
legate fra loro dalla stessa visione paesaggistica e mantengono una coerenza,
emotiva e sonora, anche quando il linguaggio trova altre coloriture. Come nel
caso della straniante elettronica di Lost Nation, brano strumentale che sarebbe
fuori contesto in qualsiasi disco di americana, e qui invece amplifica il mood
trasognato delle canzoni in scaletta. O
come in Hanging From The Earth e Where Something Wild Still Grows, due brani
con cui I The Pines si aprono a sonorità
folk pop più convenzionali, tenendosi però lontani dall’ovvio dei falò da
spiaggia (e delle charts), grazie al tocco misurato del piano, elemento
peculiare del loro songwriting, e a uno sguardo che resta al contempo romantico,
malinconico e asciutto. E non passano inosservate sia la drammatica bellezza di
Here, corale (e accorata) preghiera, attraversata da lacrime di violino, o le uillean
pipes dello strumentale Villisca, che riportano con dolcezza l’Irlanda nel
cuore d’America, sfociando però in un finale dagli inquietanti accordi in
minore. Di straordinaria forza evocativa è anche la chiosa di Time Dreams, spettrale spoken word, in cui possiamo
sentire per l’ultima volta la voce del compianto John Trudell, musicista,
attore e poeta, che ci ha lasciato lo scorso dicembre. Degna conclusione di un
disco tra i più suggestivi ascoltati quest’anno, capace di leggere il suono tradizionale
attraverso la lente sfocata del sogno. Potete, quindi, chiudere gli occhi e
immaginare; oppure, potete mettere nel lettore questo cd: i The Pines vi
porteranno la loro terra e i loro cieli direttamente sul divano di casa.
VOTO: 8
Blackswan, sabato 19/03/2016
3 commenti:
veramente belle
Mi aspettavo un 9! la mia radio grida basta.... io invece non ne ho ancora abbastanza! fantastico album! e vogliamo parlare della copertina? grazie! avanzi un cappuccio sorridente con brioche!
@ Sally: transiamo con un panino al salame e un ombra di quello buono :)
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