Claudio è un medico in un centro d’accoglienza, in un’isola dispersa nel
Mediterraneo, approdo per le imbarcazioni fatiscenti che arrivano dall’Africa. Il
naufragio continuo sulla sua isola, di vite ormai senza più dignità umana, fa
naufragare anche la sua esistenza.
La bellezza del mare non è più sufficiente a contrastare la crisi interiore
che lo porterà a valutare la sua situazione sentimentale con la moglie e il
rapporto con il figlio. Rivaluterà il suo interesse verso i clandestini. Forse
è pronto per una nuova relazione o per una nuova vita.
Eros, sentimento, dolore e comicità trovano uno scenario particolare,
un’isola confine, che forse è lavera protagonista di questo racconto, dove il
confine è luce incandescente e aria calda, dove il confine è liquido. Il calore
e il liquido possono fondere facilmente realtà e magia, fare da sfondo al
grande mistero che sta alla base delle tensioni geografiche e dei conflitti
esistenziali, creare uno stile linguistico ricco e denso, che sembra ritmato dalla
calura estiva di una terra assolata, coinvolgere il lettore nel tentativo
estremo di conciliare verosimile e inverosimile.
C’è un mare, da qualche
parte, là in fondo alla nostra penisola. La costa che lo contiene è
frastagliata e rocciosa, interrotta, per brevi tratti, da piccole spiagge di sabbia candida come la
neve. Il vento profumato di zagara sfiora appena la superficie dell’acqua,
disegnando sul tessuto verde smeraldo piccole increspature, che riverberano i
barbagli del sole. Una distesa immensa che placidamente accompagna lo sguardo
fino al confine estremo dell’orizzonte, dove le labbra del mare sfiorano appena
la guancia del cielo. Questa quiete infinita, ricca di pesce e di storie,
palcoscenico salmastro di eroi omerici e di leggendari esplorazioni, oggi non è
altro che un cimitero. Tanfa di morte e di disperazione, intossicando l’aria
col dolore di migliaia di uomini, inghiottiti dall’onda o consegnati a un
futuro senza speranza. Questo è ciò che vedono gli occhi di Claudio,
quarantenne alla deriva della propria vita, esule volontario sull’isola confine
(Lampedusa?), dove l’attesa di un riscatto viene risucchiata dalle dinamiche
ineluttabili del naufragio. Perché, lo sa bene Claudio, soprattutto quando la
paura e il cinismo lo sopraffanno, che tutti, nessuno escluso, sono naufraghi.
Naufraghi sui barconi della morte, stipati in una vicinanza di corpi che
violenta la dignità, in balia di una natura indifferente e del sordido
tornaconto di scafisti privi di scrupoli; naufraghi etici di un Occidente che
non sa o non vuole sapere, che distoglie lo sguardo, che preferisce sedersi al
tavolo delle logiche di mercato invece che serrare in un abbraccio consolatorio
la disperazione dei propri fratelli; tutti naufraghi, come i protagonisti di
questo breve romanzo di Gabriele Peritore, ognuno perso nelle proprie crisi esistenziali, ognuno alla
ricerca di un approdo che sia salvezza e redenzione. Siamo tutti perduti, tutti
in balia di un’onda grande che travolge il fragile giunco delle nostre
esistenze. Claudio sopravvive ai margini di un matrimonio fallito, consuma i
ricordi di una giovinezza ricca di palpiti e di militanza, che ora il male di
vivere ha sbiadito in una maturità pervasa da debolezze e sensi di colpa. Sua
moglie Mara, in preda a una feroce depressione, brancola nel buio di
un’identità smarrita, incapace di raccogliere i cocci di quella persona che un
tempo era stata moglie e madre. E poi, c’è Fabrizio, il figlio adolescente
della copia, letteralmente rapito da un amore estatico che, forse, è solo il
frutto delle sue fantasie. Fra gli angusti confini dell’isola e di fronte a un
mare che incombe col suo terribile carico di morte, i tre protagonisti muovono
le pedine delle loro esistenze alla ricerca di un futuro migliore. Un viaggio
interiore doloroso, perennemente in affanno, le cui insidie, tutte di natura
morale, mineranno le certezze, lasciando nei protagonisti lo stesso senso di inconcludenza
di quei tanti rifugiati, che sbarcano sulle nostre coste, senza sapere che
futuro li attende.
Non era facile davvero
scrivere un libro che parlasse di immigrazione senza scadere nel retorico o
lasciarsi pervadere da quel buonismo di facciata, che è poi l’argomento
preferito della nostra inefficiente classe politica. Peritore, invece, è stato
capace di raccontarci un dramma di stretta attualità con il taglio intimo della
storia personale, il cui racconto, essenziale e mai declamatorio, riesce a farsi
universale. Grazie a un prosa secca, icastica e allergica a imbolsite
subordinate, l’autore coglie l’essenza del problema, lasciando nel cuore del
lettore un senso di smarrimento che impone domande. Tante e decisive,
nonostante la breve durata del romanzo. Da leggere assolutamente.
Gabriele
Peritore è nato ad Agrigento, vive e lavora a Roma. Da sempre appassionato di
letteratura e del legame che unisce la natura all´essere umano, indirizza i
suoi studi nel trovare l´equilibrio che permea la loro naturale fusione.
Ha pubblicato
un libro di poesie dal titolo A respiro trafitto (Del Giano Edizioni), è
inserito in varie antologie di poesie e racconti, tra cui: La congiura dei
poeti (Fabio Croce Editore), Il resto è poesia, una collaborazione tra Regione
Lazio e Lettere Caffè, e Peccati Veniali (Coniglio Editore).
1 commento:
non è detto che non segua questo consiglio, mi pare un libro interessante davvero
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