La cittadina di Montclair,
New Jersey, si poggia sulla dorsale est delle Watchung Mountains. E’ un posto
tranquillo, immerso nel verde, con un clima continentale piuttosto umido, visto
che da quelle parti piove con una certa frequenza. Ci sono dei punti a Montclair,
da cui, se il tempo è bello, puoi goderti tutto lo skyline di New York.
Crescere qui è un po’ come crescere in periferia, senza tuttavia avere la
possibilità di raggiungere il cuore della grande mela: la guardi da lontano e
sospiri. Così, se sei giovane, e vivi qui, non ti rimane che giocare a baseball,
goderti i numerosi parchi oppure, come succedeva qualche anno fa, dare un’occhiata
al set dei Sopranos, serie televisiva che ha deputato Montclair per la location
di alcuni episodi. Se no, puoi prendere una chitarra e scrivere canzoni, vedere
se con la musica è possibile arrivare più velocemente laggiù, a New York, le
cui luci in lontananza procurano sempre un sobbalzo del cuore. In passato, ci sono
riusciti Joe Walsh (Eagles), Ty Taylor (Vintage Trouble) e Duncan Sheik, tutta
gente che a Montclair è nata e cresciuta e adesso col rock ci campa. Oggi, invece,
ci provano anche i Pinegrove, giovane quartetto che si presenta al grande
pubblico con Cardinal, il loro album d’esordio. In realtà, la band capitanata
dal cantante Evan Stephens Hall e composta dai fratelli Levine (Nick alla
chitarra e Zack alla batteria) e da Sam Skinner al basso, sono in circolazione
da circa un lustro, durante il quale hanno rilasciato tre Eps e un album autoprodotto
e distribuito door to door. La consueta gavetta, insomma, che pare però essere
volta al termine, visto che di loro si sono accorti in molti, sia negli States che
in giro per il mondo. Ascoltato più volte l’album, possiamo, senza tema, unirci
al coro dei consensi: le otto canzoni di Cardinal, disco che dura poco più di
mezz’ora, sono davvero una gran bella sorpresa. Non che questi ragazzi stiano
cambiando la storia, ma un filotto di canzoni di livello non capita proprio tutti i giorni,
soprattutto per una band esordiente. I Pinegrove, senza girarci troppo intorno,
fanno del pop rock geneticamente indie, che in alcuni momenti suona molto
power, e in altri, quando spuntano estemporanei strumenti roots (banjo, pedal
steel, etc) si tingono (leggermente) di folk. Mi hanno fatto pensare ai Big
Star, in primo luogo, e poi ai più recenti Okkerville River, e in alcuni casi (Size Of The Moon, Then Again)
addirittura ai Weezer. Resta il fatto che in queste otto canzoni, che suonano
lo - fi ma non sono certo scarne negli arrangiamenti, si intravede una
clamorosa capacità di creare melodie a presa diretta, in certi casi,
caracollanti e indolenti (Cadmium, The Old Friends, che sembra la versione
indie di Springsteen di Eric Church) in altri, solari e travolgenti (Then
Again, Visiting). La breve durata del disco, oltretutto, consente ai tanti
ganci melodici di entrarci in testa velocemente e di lasciare il segno; circostanza, questa,
che fa dei Pinegrove, e della loro sincera urgenza, una delle cose più
interessanti ascoltate in questo 2016.
VOTO: 8
Blackswan, venerdì 22/04/2016
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