Alzi la mano chi, almeno
una volta nella vita, non ha ascoltato Be My Baby, incredibile hit, datata
1963, e portata al successo dalle Ronettes, trio femminile cresciuto all’ombra
del wall of sound targato Phil Spector. Leader di quel notissimo girl group fu
Veronica Bennett, che non si limitò solo a lavorare con Phil Spector, ma se lo
sposò pure, prendendo dal marito il cognome che la accompagnerà per tutta la
carriera, anche dopo il divorzio. In quei magnifici anni ’60, l’America subisce
la cosidetta British Invasion, in seguito alla quale, gruppi come Beatles,
Hollies, Rolling Stones, Who, etc, riempiranno le classifiche, le radio e gli stadi
statunitensi. Le Ronettes, merito non da poco, furono l’unica band femminile a
essere invitata a esibirsi con i Beatles, durante il loro ultimo tour
americano, nel luglio del 1966. Questa cosa Ronnie, che oggi è una bella
signora di settantadue anni, se la deve essere portata dentro a lungo, visto
che ha appena pubblicato un disco interamente dedicato a quel periodo,
reinterpretando grandi classici degli anni sessanta di derivazione anglosassone
(l’unica eccezione è How Can You Mend A Brocken Heart degli australiani Bee
Gees, che però in quel periodo imperversavano anche in Inghilterra). In
scaletta, dunque, ci sono cover dei Rolling Stones (la poco nota I’d Much
Rather Be Wiyh The Girls), della scozzese Lulu (Oh Me Oh My), dei Dave Clark
Five (Because), dei Beatles (I’ll Will Follow The Sun, da Beatles For Sale del
1964), degli Zombies (Tell Her No), di Sandie Shaw (Girl Don’T Come) e di altri
ancora. Il disco è in definitiva un raccoltone vintage, non tanto nei suoni, quanto,
invece, nella sostanza, che però, a essere sinceri, non riesce a trasmettere un
briciolo di emozione, nemmeno quella nostalgia che operazioni di questo tipo
intendono suscitare. Il fatto è che Ronnie Spector, non ha più la straordinaria
voce di un tempo, l'unica cosa, forse, che servirebbe a rivitalizzare canzoni che qui sembrano reperti
archeologici fuori contesto. Il danno grosso, però, lo fa il produttore, Scott Jacoby
(John Legend, Kane, Chimene Badi), che, per dare un senso di freschezza alla
scaletta e farla apparire moderna a tutti i costi, pasticcia coi suoni e tira
fuori un disco chiassone e tagliato con l’accetta. Il risultato è davvero poco
cosa, e tra noia, imbarazzo e fastidio, quando si arriva alla fine dell’ascolto,
si tira un bel sospiro di sollievo. Inutile dirlo: molto meglio gli originali.
VOTO: 5
Blackswan, domenica 24/04/2016
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