L’altalenante vicenda
artistica dei Jayhawks ci ha indotto spesso a pensare che la band fosse
arrivata al capolinea. Successe la prima volta nel 1995, quando al culmine
della creatività (era da poco uscito Tomorrow The Green Grass), Mark Olson
salutò tutti per prendersi cura della moglie malata, Victoria Williams; l’avventura
prosegui con due dischi non proprio ispiratissimi (Sound Of Lies del 1997 e
Smile del 2000), caratterizzati dal songwriting di Louris, unico uomo al
comando, e da una svolta smaccatamente pop che non faceva presagire nulla di
buono; e per finire, se l’ottimo Rainy Day Music (2003), aveva riacceso le
speranze dei fans, il successivo iato di sette anni sembrava aver decretato
definitivamente la fine dei giochi. Poi, nel 2011, uscì a sorpresa Mockingbird
Time, e ancora più a sorpresa, Olson rientrò nella band, restituendo alla
musica dei Jayhawks quel sound originario che ebbe così fortuna nella prima
metà degli anni ’90. Mockingbird Time era un disco pimpante e vitale, che
trovava la sua forza nel rinnovato connubio artistico fra Louris e Olson, capaci,
nei momenti più ispirati, di una simbiosi musicale che ha davvero pochi eguali
nella storia del rock americano. E qui sta il busillis: la formula proposta dai
Jayhawks funziona meravigliosamente quando i due leader riescono a convivere e
a scrivere insieme; separati, invece, palesano entrambi, evidenti tentennamenti.
Paging Mr. Proust esce a distanza da cinque anni dal suo predecessore e segna l’ennesimo
allontanamento di Olson, che evidentemente ha ormai preso la band per un
autobus da utilizzare solo per brevi spostamenti. Resta a fianco di Louris il
fido bassista Marc Pearlman, l’unico altro membro originario del gruppo, e in
console, a produrre, oltre a Louris vanno Peter Buck (Rem) e Tucker Martine
(The Decemberists, Sufjan Stevens, Laura Veirs, etc). Un parterre de roi,
quindi, di tutto rispetto, ma che, alla fine dei conti, finisce per creare un po’
di confusione. Ed è proprio questo il maggior limite di Paging Mr. Proust, e
cioè che suona poco coeso, ondivago, aperto ad azzardi (e questo è un bene) che
però non sembrano portare da nessuna parte, nè a dare una nuova impronta al
sound, né a spingere verso intuizioni creative, stranianti, ma originali.
Quando Louris fa il suo, pur replicandosi, trova di nuovo la magia dei bei
tempi andati. La solare Quiet Corners & Empty Spaces, che apre il disco, è,
ad esempio, la summa del Jayhawks pensiero, si abbevera alla fonte di Tomorrow The
Green Grass e gioca le sue carte con un ritornello irresistibile e il misurato
interplay fra elettrica e acustica. La successiva Lost The Summer cambia
registro e vira verso sonorità decisamente più (glam?) rock, ma convince
pochissimo. A volte la penna di Louris è calda e allora tira fuori cose
inusuali, ma di grande effetto, come in Lovers of the Sun, esatto punto di
fusione in cui George Harrison incontra i Velvet Underground (il ritornello del
brano nasce per filiazione diretta da Femme Fatale di Lou Reed). Come si
diceva, però, il disco procede altalenante: Ace, ad esempio, è un
perniciosissimo esperimento in bilico fra noise ed elettronica, che puzza di
filler dopo poche note, The Dust Of Long Dead - Star è un tentativo un po’ imbolsito
di replicare i Rem, e Comeback Kids, che non è nemmeno bruttissima, suona però
come un indie rock targato Spoon, quanto di più lontano possa esserci, a parte
il metal, dalla musica dei Jayhawks. Fortunatamente, qui e là, i conti tornano,
quando Louris torna al sole della California, sfoderando la splendida Isabel’s
Daughter, o quando si guarda allo specchio, ricordandosi di Hollywood Town
Hall, e ci regala The Devil Is In Her Eyes, scontatissima eppure deliziosa. Paging
Mr. Proust, in definitiva, risente ancora una volta della mancanza di Olson, la
cui sola presenza è probabilmente un pungolo per Louris, e la cui scrittura,
più legata al roots, riesce a mantenere certe bizzarrie del compagno nell’alveo
del buon senso. Se da un lato, questa nuova prova è la conferma che in pentola
qualcosa ancora sta bollendo, dall’altro, però, la scaletta del disco riporta i
Jayhawks ai tempi del controverso Smile, quando Louris le provava tutte, senza azzeccarne
molte. Qui, almeno, qualche buona canzone c’è. Per il meglio, dobbiamo
aspettare che Olson si decida a tornare.
VOTO: 6,5
Blackswan, martedì 10/05/2016
2 commenti:
Beh...Anche in RAINY DAY MUSIC Olson non c'e'....io non credo sia quello il punto. MOCKINGBIRD TIME e' bello, e' vitale ma a mio parere non ci sono picchi,l'ultimo secondo me e' superiore, Louris è davvero un genio della melodia
@G: vero, in Rainy Day Music manca Olson, ma ci sono Rick Rubin e Ethan Johns in produzione, messi li' apposta per recuperare il suono di Hollywood Town Hall. Su Louris, d'accordissimo con te, ovviamente.
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