Skin, l’esordio delle
Larkin Poe di due anni fa, ci aveva strappato parole d’elogio e si era
aggiudicato la palma della miglior opera prima del 2014. Loro, le sorelle Rebecca
Lovell, voce e chitarra, e Megan Lovell, lapsteel, dobro e voce, sono originarie
di Atlanta e hanno iniziato a suonare giovanissime, visto che già nel 2005,
poco più che ventenni, fondarono le Lovell Sisters, e pubblicarono due album
indipendenti di cui si fece un gran parlare nel circuito del bluegrass e
dell’americana. Lunghi tour, comparsate alla radio e in tv e una notorietà che
aumenta, concerto dopo concerto. Nel 2009, la svolta: le due ragazze, che fra i
loro antenati vantano niente meno che lo scrittore Edgar Allan Poe, cambiano
nome in Larkin Poe, dedicando il nome della band al loro bis bis bis nonno,
cugino del grande poeta e novellista bostoniano. In tre anni, dal 2010 al 2013,
pubblicano una manciata di Ep e finalmente nel 2014, vengono messe sotto
contratto dalla Restoration Hardware, con cui rilasciano il loro album
d’esordio. Questa, per sommi capi, la storia che ha portato le due sorelle alla
ribalta del mercato statunitense. Già, perché negli States di queste due ragazze
si fa un gran parlare già da un po’, tanto che la stampa specializzata le ha
definite le sorelline minori degli Allman Brothers. In realtà con la grande
band originaria di Jacksonville, le Larkin Poe non hanno molto in comune, se
non una basilare propensione verso un suono tipicamente americano, che nello
specifico si sviluppa maggiormente durante le loro performance live. Kin era
un album cangiante e variegato, dove si, è vero, confluivano sonorità legate
alla grande tradizione americana (folk e blues soprattutto) ma l’ossatura delle
canzoni era fatta anche di rock, pop, e tanto, tanto soul. Reskinned, opera
seconda delle sorelline Poe, è una germinazione del precedente, ma veste abiti più
smaccatamente rock, il suono è più ruvido, le canzoni più aggressive. E a
proposito di canzoni: in questo disco ne confluiscono sette già presenti nel
precedente album (Jailbreak, Crown Of Fire, Overachiever, Sugar High, Stubborn Love,
Banks Of Allatoona, Don’t). Quindi, i brani nuovi sono solo cinque, e avrebbero
dovuto, più correttamente, essere pubblicate solo come Ep, invece che in un
full lenght, in cui le novità sono davvero pochine. Il senso dell’operazione potrebbe
spiegarsi soltanto con l’intento da parte delle due sorelle di tirare le somme
e di tratteggiare in modo compiuto una fase della loro carriera, definendo al
meglio un suono. Peraltro, le nuove canzoni inserite in questa sorta di
parziale reissue sono anche valide. Si parte con il ringhio rock di Sucker Puncher,
che è un po’ il metro (in eccesso) per misurare le sonorità dell’album. La divertente
Trouble In My Mind, con la sua ritmica caracollante, paga pegno a Lonely Boy
dei Black Keys, When God Closes a Door è pregna di afrori sudisti, P.R.O.B.L.E.M.
è un’altra irresistibile e chiassosa rock song, mentre Blunt, miglior brano del
lotto, è un riuscito esperimento in cui le chitarre fanno da collante fra gospel
e ritmiche hip hop. Che altro aggiungere? Se questo fosse stato un full lenght di
canzoni originali, saremmo qui a celebrare un gran bel disco. Invece, rimane l’amaro
in bocca per un’opera monca, ottima certamente per tutti coloro che non aveva
comprato e ascoltato Skin, una mezza ridondanza per tutti gli altri.
VOTO: 6,5
Blackswan, venerdì 03/06/2016
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