Stanno andando
incredibilmente veloci le cose, per Margo Price. Figlia di quel Midwest che
onora nel titolo dell’album, Margo è cresciuta con la musica intorno, suonando
e cantando in chiesa, seguendo le gesta del prozio, Bobby Fisher, una delle
penne più attive nel circuito country nashvilliano. Leader dei Buffalo Clover,
band fondata con il marito, Jeremy Ivey, e poi alla corte di Sturgill Simpson e
Marty Stuart, che l’hanno voluta al loro fianco grazie a delle doti vocali
sopraffine, la Price di gavetta ne ha fatta tanta. Fino a quando, Jack White,
uno che ha spesso lo sguardo lungo, l’ha presa sotto l’ala protettrice della
Third Man Record e le ha fatto pubblicare questo primo album, sotto la
supervisione di Matt Ross-Spang . Un esordio così convincente che l’autorevole
rivista Fader ha definito la Price la nuova stella del country e Pitchfork,
Rolling Stone e Npr Music hanno speso fiumi d’inchiostro per elogiarne il
talento. Vanno così veloci le cose per Margo, che a pochi mesi dall’uscita dell’album
si è già aggiudicata l’Ameripolitan Music Award del 2016, per la sezione Honky Tonk
Female, ed è tuttora in lizza per altri due premi. Midwest Farmer’s Daugther,
non ci sono dubbi al proposito, è un gran bel disco di roots music, vibrante,
genuino, attraversato da una freschezza di scrittura che, pur rimanendo in
parte legata ai canoni del country nashvilliano (il disco però è stato
registrato ai Sun Studios di Memphis), ne supera in agilità le svenevolezze ed
è capace, in sintonia con la tradizione Outlaw, di operare commistioni con
altri generi.
Dieci canzoni in scaletta, per un disco che si ascolta con
infinita piacevolezza, tanto che arrivati alla breve chiosa acustica di World’s
Greatest Loser, si torna immediatamente alla prima traccia con l’animo
predisposto al meglio. Una musica che paga pegno a Emmylou Harris, Linda Ronstadt,
Dolly Parton, ma che mantiene una propria originalità di fondo, come si coglie
nell’iniziale Hands Of Time, ballata impreziosita da un delicato arrangiamento
d’archi e percorsa da emozionanti vibrazioni soul, o in Tennesse Song e Four Years Of Chances,
decisamente più virate verso sonorità blues (nella seconda, espresse con aspre
trame elettriche e una curiosa ritmica dance). Particolare l’arrangiamento dei
brani, con l’accento posto prevalentemente sulla sezione ritmica, e
straordinaria la voce della Price (evito paragoni, perché a mio avviso possiede
un timbro unico), tanto squillante che, sulle note alte quasi ci ferisce le
orecchie. Se è nata una stella, solo il tempo ce lo saprà dire; di sicuro
Midwest Farmer’s Daughter è in lizza per il titolo di miglior disco di americana
dell’anno e la Price merita tutta la nostra stima. Continua così!
VOTO: 8
Blackswan, sabato 09/07/2016
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