Abbiamo recensito, non più
tardi di due settimane fa il nuovo disco di Sara Watkins. Oggi, invece, tocca suo
fratello Sean, cantante e chitarrista che con Sara e Chris Thile fa parte del progetto Nickel Creek, nota
band statunitense di progressive bluegrass. Tuttavia, come raccontavamo a
proposito del disco della sorella, lontano dalla casa madre, anche Sean viaggia
su binari diversi. Niente roots, dunque, né il moderno indie folk, screziato di
pop e rock di Sara. Sean, invece, imbocca la strada di un’Americana acustica
che, in più di un’occasione, rimanda a certe delicatezze riconducibili alla
scrittura di Elliott Smith. In What To Fear, Watkins usa infatti i colori tenui
del pastello, crea melodie sospese, modula i brani sull’interplay fra chitarra
acustica e pianoforte, apre a soundscapes agrodolci e malinconici. Suona, più o
meno, tutta così la scaletta del disco, le cui dieci canzoni, per circa
quaranta minuti di durata, raccontano l’America nell’anno delle lezioni (la title
track è chiarissima nel prendere posizione) e le paure del nostro incerto
futuro, esplorando quella sottile linea di confine che separa il politico dalla
riflessione personale. Se il disco suonasse tutto come le prime cinque canzoni,
staremmo parlando di uno degli album di americana più belli dell’anno: da What
To Fear a Everything ci troviamo di fronte, infatti, a un cantautorato
ispiratissimo, le cui brillanti melodie ci catturano a ripetuti ascolti e i cui
testi, politicamente impegnati, spingono l’ascoltatore a più di una riflessione.
La seconda parte, invece, sembra perdere un po’ il tocco magico che anima la
prima metà, e pur mantenendo, comunque, piacevolissimo l’ascolto, cerca altre
forme espressive che minano l’unitarietà della scaletta: il fingerpicking folk
di Where You Were Living, il bluegrass di Local Honey, la cupa marcia per chitarra elettrica di
Tribulations, l’arrangiamento d’archi di Too Little Too Late, una ballata bella
ma risaputa. La vetta del disco si intitola Everything e racconta di un viaggio
immaginario intrapreso a piedi da Watkins attraverso l’America: da Seattle,
dove il songwriter ha concluso il suo tour, fino all’amata Los Angeles, città
in cui l’artista vive. Una canzone splendida, una delle migliori ascoltate
quest’anno, ed esempio di scrittura sopraffina, la cui languida melodia (il
rimando a Elliott Smith qui è evidentissimo) nasce dall’intreccio di più
chitarre acustiche e da un leggero tappeto d’archi a sostegno. Ad accompagnare
Watkins, per tutta la durata del disco, ci sono Matt Chamberlain alla batteria
(ha suonato più o meno con tutti, dai Pearl Jam a Brad Mehldau), Mike Elizondo
al basso (bassista noto nel circuito hip hop per aver suonato con Eminem e Dr.
Dree) e la band acustica californiana di Bee Eaters.
VOTO: 7,5
Blackswan, domenica 24/07/2016
1 commento:
voto zero....no 7,5 -
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