Cresce catturato da una
voce, J.R. La voce di suo padre, un disc-jockey di New York che ha preso il
volo prima che lui abbia detto la sua prima parola. Seduto sul portico della
vecchia casa dei nonni, con l'orecchio schiacciato contro la radio, vorrebbe
spremere da quel timbro caldo e baritonale i segreti dell'identità e del mondo
degli uomini. Sua madre è il suo mondo, ma lui cerca, desidera ardentemente
anche qualcosa di più, qualcosa che riesce, debolmente ma ossessivamente, ad
avvertire solo in quella voce. A otto anni, quando anche la voce alla radio
scompare, J.R. corre fino al bar all'angolo, e lì scopre un nuovo mondo, e un
coro turbolento di nuove voci. Sono poliziotti e poeti, allibratori e soldati,
star del cinema e pugili suonati, la varia umanità che si rifugia al Dickens
per raccontare le proprie storie o scordare i propri guai. Saranno quelle
"mosche da bar", uomini come Steve, come zio Charlie, che si atteggia
un po' a Bogart, come Colt, con il suo timbro da orso Yoghi, come Joey D, un
picchiatore dal cuore tenero, sarà anche quel mondo di uomini divertito o
dolente a crescere J.R., a prendersi cura di lui, a farne un uomo, come una
specie di paternità su commissione. Una storia di formazione e riscatto, di turbolento
amore tra una madre e il suo unico figlio, ma anche il racconto della lotta di
un ragazzo per diventare uomo e un ritratto di come gli uomini rimangano, nel
fondo del loro cuore, dei ragazzi perduti.
Si ride, si piange, si
sogna, si riflette, si impara. Questo potrebbe essere succintamente il
riassunto di quanto contenuto nelle pagine de Il Bar Delle Grandi
Speranze, biografia romanzata del giornalista e premio Pulitzer del 2000, J.R.
Moehringer. Un concentrato di emozioni, continue e palpitanti, che vi
avvilupperà dalla prima all'ultima pagina di questo straordinario romanzo. Che
è, prima di tutto, un libro di formazione (e quindi destinato anche a un
pubblico adolescente), in cui lo scrittore newyorkese fa i conti con il proprio
passato e ci racconta come è divenuto, prima, maschio (l'alcol, le sbronze, lo
sport, il sesso) e, poi, uomo a tutto tondo. Ma è anche un libro che crea
immedesimazione, obbligandoci a riconsiderare la nostra vita, i nostri rapporti
familiari, i nostri amori e i nostri affetti, gli errori commessi, le gioie
ricevute. La storia di Moehringer, pur sviluppandosi in soggettiva, diventa
presto una corale, con cui l'autore ripercorre quarant'anni di storia
degli Stati Uniti, dal Vietnam all'11 settembre, attraverso le stanze affollate
del Publicans, il pub che lo ha cresciuto, facendo le veci del padre assente.
Un memoriale, dunque, composto di echi e di riverberi, in cui la storia della
società americana assume le forme del racconto appassionato e mai della
cronaca, e viene filtrata attraverso il piccolo grande mondo del bar, in cui
uomini e donne, caleidoscopio di volti e psicologie, portano le proprie
esperienze, le proprie vite, le proprie tragedie, rendendole universali. E
c'è poi l'alcol, e il rapporto maledetto (e benedetto) con la
bottiglia onnipresente. Il bicchiere come rifugio dal dolore, consolazione
del male di vivere, ma anche il binario morto di un deragliamento emotivo,
professionale, etico e generazionale. La bottiglia, poi, è anche il
pretesto per emozionanti digressioni sulla letteratura americana, i cui grandi
protagonisti, da F. Scott Fitzgerald a William Faulkner, hanno dovuto tutti
fare i conti con la dipendenza da alcol (così come, per un certo periodo,
anche lo stesso Moehringer). La passione per i libri e per la musica (il
pallino per Frank Sinatra e la classica) diventa così un'altra, l'ennesima,
chiave di lettura di un romanzo da cui è proprio impossibile staccarsi e che si
beve, dall'inizio alla fine, con la stessa voluttà con cui l'autore
sorseggia il suo bicchiere di scotch.
PS: Dopo aver letto Il Bar
Delle Grandi Speranze, il tennista Andre Agassi ha voluto Moehringer al suo
fianco per la stesura di Open, fortunatissimo romanzo del 2009. Ma questa è
un'altra storia.
Blackswan, venerdì 19/08/2016
3 commenti:
l'ultimo aneddoto non lo conoscevo.
il bar delle grandi speranze lo ricordo come un bel libro, si potrebbe anche rileggerlo.
l'alcolismo è una dipendenza che colpisce molto gli scrittori, non credi?
@ Silvia: immagino perchè se hai consapevolezza della vita e ti accingi a raccontarla, probabilmente preferisci non farlo da sobrio. Ma ci sono anche bravi scrittori che non bevono e appena me ne viene in mente uno, te lo dico. :)
😊
Posta un commento