Dura trentasei minuti la terza
prova in studio di Parker Millsap, enfante prodige del roots a stelle e
strisce. Poco più di mezz’ora in cui nulla è fuori posto, tutto è
indispensabile e straordinariamente centrato. Idee chiare, conoscenza della
tradizione, ma una visione moderna della stessa, che permette a Millsap di
superare stereotipi e usurati clichè. Originario di Purcell, Oklahoma, Parker aveva
già scalato le classifiche americane di genere nel 2014, con un lavoro che
aveva attirato su di sé le attenzioni della stanza specializzata, il consenso
del pubblico e una prima nomination agli Americana Music Honors And Awards. The
Very Last Day rappresenta un ulteriore passo avanti sia a livello compositivo
sia nella creazione di un suono che, come si diceva, sta in perfetto equilibrio
tra passato e presente. Figlio di un pastore pentecostale, Millsap, infatti,
miscela il proprio background gospel e blues con frementi pulsioni rock, confezionando,
tuttavia, il prodotto in chiave folk grazie all’apporto decisivo di Daniel
Foulks (straordinario violinista) e Tim Laver al pianoforte e all’hammond (al
basso c’è Michael Rose e, alla batteria, Patrick Ryan). Il risultato è un disco
breve, eppure intenso, sentito, sincero, energico e carico di emozioni.
La voce
di Millsap è straordinariamente potente e volitiva, si sposa perfettamente con
le tonalità più blues, e risulta graffiante, quando il ragazzo rockeggia, e languida,
invece, quando il passo lento della ballata viene a sfiorarci le corde dell’anima.
Difficile togliere questo cd dal lettore, una volta che si inizia ad ascoltarlo:
non c’è un filler che sia uno e tutto ci lascia a bocca aperta, in attesa della
sorpresa successiva. Si inizia con il guizzo rock acustico di Hades Pleads, dall’incedere
nervoso e con il violino di Foulks in evidenza, e si continua con il movimento
sinuoso della divertita e solare Pining, il primo singolo tratto dall’album: due
modi diversi di esprimersi, legati, però, fra loro dal fille rouge di una voce ispiratissima
e da una band che fa dell’artigianato un prodotto d’eccellenza. Morning Blues è
100% american sound e vede protagonista la voce di Parker, capace di svariate modulazioni.
Heaven Sent, sofferto racconto di un’omosessualità nascosta, è il vertice
emotivo dell’album: strofa che paga debito a The River di Springsteen e
ritornello di una bellezza che lascia storditi. You Gotta Move, blues da
canicola interpretato con devozione filologica, è un classico dal repertorio di
Mississippi Fred McDowell (su Sticky Fingers trovate la cover che ne hanno
fatto i Rolling Stones), Hands Up sfodera una sudatissima grinta rock, mentre
Jealous Sun è un breve, limpido acquarello folk. Chiude Tribulation Hymns,
emozionante finale dai toni quasi ieratici, che racchiude in sé un suono
antichissimo. Se, in questi ultimi anni, si può parlare di rinascita di un solido movimento
alternative country, lo si deve anche a dischi come The
Very Last Day e a questo giovanissimo autore, che insieme a Jason Isbell, Chris
Stapleton, Sturgill Simpson e John Fullbright, solo per citare alcuni dei nomi
più noti, sta dando nuovo lustro a un suono che sembra aver ripreso un’inaspettata
forza innovativa.
VOTO: 9
Blackswan, martedì 09/08/2016
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