giovedì 1 settembre 2016

ANGEL OLSEN - MY WOMAN



Nata e cresciuta da genitori adottivi a St. Louis (Missouri), Angel Olsen, oggi ventinovenne, ha vissuto una giovinezza tranquilla, tra gli studi alla high school, la famiglia, gli amici. Il desiderio di diventare una pop star, coltivato attraverso i dischi della mamma, appassionata alla musica degli Everly Brothers e Skeeter Davis, e una propria discografia alimentata da dischi di punk rock, ha però finito per prevalere su tutto. Così, Angel ha iniziato a studiare chitarra e pianoforte e a scrivere canzoni. Si è trasferita a Chicago, ha inciso i suoi primi lavori su cassetta e poi su vinile, con una piccola etichetta, ha collaborato con Tim Kinsella e Leroy Bach (Wilco) e ha svoltato definitivamente entrando nella band che accompagna Bonnie "Prince " Billy, come backing singer. L'album di debutto, Burn Your Fire for No Witness (uscito nel 2014, via Jagjaguwar) ha riscosso un grande successo di critica, strappando elogi e voti altissimi su tutta la stampa specializzata. Con My Woman, secondo full lengh, in uscita domani, sia in versione cd che digitale, la Olsen ha dimostrato un ulteriore passo avanti verso il raggiungimento della cosi detta maturità artistica, codificando e definendo ulteriormente il songwriting già apprezzato all'esordio. Nella musica di Angel convivono, infatti due diverse anime, ma tra loro complementari: un lato più selvaggio, tutto fuzz, distorsioni e ringhi chitarristici, e per converso un altrettanto forte inclinazione verso la ballata drammatica. Le suggestioni di My Woman nascono proprio da questi opposti, dall'interplay misurato fra strumentazione acustica, elettrica ed elettronica, da brani, cioè, che sanno fondere in un unico mood cantautorato, bit e frementi scosse di elettricità. 




Intern, primo singolo tratto dal disco, è un brano dalle atmosfere elettroniche, chiari e scuri legati da un filo di malinconia che si scioglie in un giuramento finale ripetuto ossessivamente: "Falling in love and I swear it's the last time". E' una canzone anomala, riuscita, certo, ma difficilmente etichettabile rispetto a quello che arriverà dopo. Da qui, in avanti, infatti, il suono cambia e il distacco dall'incipit è vertiginoso. In Never Be Mine una chitarra aspra e una melodia vagamente retrò ci conduce verso atmosfere sixties. Shut Up Kiss Me imbocca decisamente la strada del rock, Give It Up produce scorie grunge in abbondanza e l'equilibrio fra melodia e graffio elettrico ci riporta con la mente ai Pixies e ai Nirvana, mentre Not Gonna Kill You è un turbine di fiera rabbia psichedelica che starebbe bene in un disco delle Sleater Kinney. Poi, il registro cambia e Heart Shaped Face apre un'ipotetica seconda facciata con uno slow tempo che ai più giovani potrebbe ricordare Lana Del Rey e agli ascoltatori più attempati i Velvet Underground. La successiva Sister è il vertice compositivo ed emozionale dell'album, una canzone coraggiosa nella durata (sette minuti e mezzo) e dalla struttura multiforme, che trasforma una malinconica melodia indie con un ponte alla Fleetwood Mac in un crescendo decisamente rock, attraversato dall'alta tensione elettrica delle chitarre. E se Woman è la sorella gemella di Sister, Those Were The Days ci immerge in eteree atmosfere soul profondamente languide. Chiude il disco Pops, ballata per pianoforte e voce, in cui la Olsen dimostra di saperci fare anche quando il songwriting si riduce all'essenza. My Woman è, dunque, un disco che riesce a sfoggiare con lucidità una gran varietà di registri e che ci conquista, canzone dopo canzone, sfiorandoci le corde del cuore con un leggero tocco malinconico o graffiandoci il petto con zampate di adrenalina rock. Quindi, toglietevi dalle cuffie Sometimes I Sit and Think, and Sometimes I Just Sit, splendido esordio di Courtney Barnett dello scorso anno, e iniziate ad ascoltare My Woman: è il suo sostituto naturale.

VOTO: 8








Blackswan, giovedì 01/09/2016


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