Nata e cresciuta da genitori adottivi a St. Louis
(Missouri), Angel Olsen, oggi ventinovenne, ha vissuto una giovinezza
tranquilla, tra gli studi alla high school, la famiglia, gli amici. Il
desiderio di diventare una pop star, coltivato attraverso i dischi della
mamma, appassionata alla musica degli Everly Brothers e Skeeter Davis, e una
propria discografia alimentata da dischi di punk rock, ha però finito per
prevalere su tutto. Così, Angel ha iniziato a studiare chitarra e pianoforte e
a scrivere canzoni. Si è trasferita a Chicago, ha inciso i suoi
primi lavori su cassetta e poi su vinile, con una piccola etichetta, ha
collaborato con Tim Kinsella e Leroy Bach (Wilco) e ha svoltato definitivamente
entrando nella band che accompagna Bonnie "Prince " Billy, come
backing singer. L'album di debutto, Burn Your Fire for No Witness (uscito nel
2014, via Jagjaguwar) ha riscosso un grande successo di critica, strappando
elogi e voti altissimi su tutta la stampa specializzata. Con My
Woman, secondo full lengh, in uscita domani, sia in versione cd che
digitale, la Olsen ha dimostrato un ulteriore passo avanti verso il
raggiungimento della cosi detta maturità artistica, codificando e definendo
ulteriormente il songwriting già apprezzato all'esordio. Nella musica di
Angel convivono, infatti due diverse anime, ma tra loro
complementari: un lato più selvaggio, tutto fuzz, distorsioni e ringhi
chitarristici, e per converso un altrettanto forte inclinazione verso la
ballata drammatica. Le suggestioni di My Woman nascono proprio da questi
opposti, dall'interplay misurato fra strumentazione acustica, elettrica ed
elettronica, da brani, cioè, che sanno fondere in un unico mood
cantautorato, bit e frementi scosse di elettricità.
Intern, primo singolo
tratto dal disco, è un brano dalle atmosfere elettroniche, chiari e scuri
legati da un filo di malinconia che si scioglie in un giuramento
finale ripetuto ossessivamente: "Falling in love and I swear it's the last
time". E' una canzone anomala, riuscita, certo, ma difficilmente
etichettabile rispetto a quello che arriverà dopo. Da qui, in avanti, infatti,
il suono cambia e il distacco dall'incipit è vertiginoso. In Never Be Mine una
chitarra aspra e una melodia vagamente retrò ci conduce verso atmosfere
sixties. Shut Up Kiss Me imbocca decisamente la strada del rock, Give It
Up produce scorie grunge in abbondanza e l'equilibrio fra melodia e
graffio elettrico ci riporta con la mente ai Pixies e
ai Nirvana, mentre Not Gonna Kill You è un turbine di fiera rabbia
psichedelica che starebbe bene in un disco delle Sleater Kinney. Poi, il registro
cambia e Heart Shaped Face apre un'ipotetica seconda facciata con uno slow
tempo che ai più giovani potrebbe ricordare Lana Del Rey e agli ascoltatori più
attempati i Velvet Underground. La successiva Sister è il vertice
compositivo ed emozionale dell'album, una canzone coraggiosa nella durata
(sette minuti e mezzo) e dalla struttura multiforme, che trasforma una
malinconica melodia indie con un ponte alla Fleetwood Mac in un crescendo decisamente rock, attraversato
dall'alta tensione elettrica delle chitarre. E se Woman è la sorella gemella di
Sister, Those Were The Days ci immerge in eteree atmosfere soul
profondamente languide. Chiude il disco Pops, ballata per pianoforte e voce, in
cui la Olsen dimostra di saperci fare anche quando il songwriting si riduce
all'essenza. My Woman è, dunque, un disco che riesce a sfoggiare con lucidità
una gran varietà di registri e che ci conquista, canzone dopo
canzone, sfiorandoci le corde del cuore con un leggero tocco malinconico o
graffiandoci il petto con zampate di adrenalina rock. Quindi, toglietevi dalle
cuffie Sometimes I Sit and Think, and Sometimes I Just Sit, splendido
esordio di Courtney Barnett dello scorso anno, e iniziate ad ascoltare
My Woman: è il suo sostituto naturale.
VOTO: 8
Blackswan, giovedì 01/09/2016
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