The Soundtrack Of A Ghost
Story degli Orphane Brigade è stato uno dei dischi di americana più belli dello
scorso anno. Un’opera multimediale (l’uscita del disco fu accompagnata anche
dalla realizzazione di un documentario) che gettava uno sguardo profondo,
evocativo e inquietante su uno dei capitoli più dolorosi della storia
americana, la Guerra di Secessione. Di quel progetto faceva parte anche Ben
Glover, songwriter nord irlandese, trasferitosi da tempo a Nashville, che dopo
lo splendido Atlantic, full lenght del 2014, torna nei negozi con questo nuovo
The Emigrant. Un disco che chiarisce fin dal titolo il senso della narrazione:
una storia personale di emigrazione, dall’Irlanda agli States, che assume però,
inevitabilmente, caratteri storici e filologici. In tal senso, Ben Glover è
capace di spaziare con lo sguardo tra le opposte sponde dell’oceano, recuperando
i suoni della terra natia (con l’utilizzo delle Uillean Pipes, ad esempio),
guardando alle fonti di ispirazione della propria giovinezza (Christy Moore e i
Pogues) e rileggendo il tutto con gli occhi e la sensibilità di chi ha messo
nuove radici e ha conosciuto nuovi riferimenti musicali (Pete Seeger, Hank
Williams, Bruce Springsteen). Il risultato è una sorta di concept album,
composto dalla rilettura di sei traditional folk e da quattro brani originali, scritti
con la collaborazione di Gretchen Peters, Mary Gauthier e Tony Kerr. The
Emigrant è, dunque, una sorta di American Land (non a caso abbiamo parlato di
Seeger e Springsteen), un racconto di emigrazione che, però, perde i toni epici
e acquisisce, invece, il tratto delle riflessione intimista, per raccontare l’uomo
che si trova ad affrontare la perdita delle proprie radici, il cambiamento, la
sofferenza per adattarsi, la speranza di una nuova vita. Dieci ballate in
bilico fra folk irlandese e americana, in cui è la splendida voce di Glover,
calda, carezzevole e graffiante, a condurre l’ascoltatore verso momenti di
lirismo assoluto. Il classico The Auld Triangle (già nelle mani dei The Dubliners
e di Luke Kelly), And The Band Played Walzing Mathilda (resa celebre dalla versione dei Pogues), l’alcolica
Moonshiner (la cui origine, se irlandese o statunitense, è ancora controversa)
vivono di nuova luce poetica a fianco a nuovi brani straordinari, come la
commovente Heart In My Hand, scritta a quattro mani con Mary Gauthier (vi
troverete un retrogusto alla Waterboys), o A Song Of Home, in condominio con
Tony Kerr, che chiama in causa addirittura Dylan. Come per il disco degli Orphan
Brigade, The Emigrant esce sotto l’egida dell’italianissima Appaloosa Records,
che ha curato l’edizione italiana del disco, inserendo nel booklet la
traduzione (nello specifico, indispensabile) dei testi.
VOTO: 8
Blackswan, mercoledì 12/10/2016
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